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INTERIOR TALES
PROLOGO.
ALBA
Non sapeva da quanto tempo fosse lì. Solo, vestito di tut-
to punto, davanti allo specchio. Un tentativo di luce gli at-
traversava il volto: doveva essere l’alba.
La casa, un luogo che non riconosceva. La esplorò con lo sguardo:
ampie aperture su un giardino, una poltrona, una lampada accesa,
lungo le pareti installazioni e quadri. Li aveva scelti lui? Non lo sape-
va. Non lo sapeva più.
Si sforzò di ricordare perché fosse lì. Mentre la luce gial-
lo-oro del giorno invadeva quel suo personale limbo, cer-
cò conforto nel rovistare: non lo trovò.
Ciò che abitava la casa esercitava su di lui un richiamo alieno.
Aveva mai vissuto quegli oggetti, erano mai stati suoi? Non era
in grado di dirlo. Fece per uscire dalla casa: la porta era chiusa.
Le chiavi, non pervenute.
“Specchio, specchio delle mie brame, chi è il
più cretino del reame?” chiese al proprio rifles-
so alla finestra.
PROLOGUE.
SUNRISE
He didn’t know how long it had been there. Alone, fully
dressed, in front of the mirror. An attempt of light crossed
his face: it must have been dawn.
The house, a place he did not recognize. He explored it with his
eyes: large openings on a garden, an armchair, a lighted lamp, in-
stallations and paintings along the walls. Had he chosen them? He
didn’t know. He didn’t know anymore.
He struggled to remember why he was there. As the yel-
low-gold light of day invaded that personal limbo of his,
he sought solace in rummaging: he did not find it.
What inhabited the house had an alien appeal to him. Had he ever
lived those objects, had they ever belonged to him? He was unable
to tell. He started to leave the house: the door was closed. The keys,
not received.
“Mirror, mirror of my desires, who is the most dimwit in the
realm?” he asked his reflection in the window.
MUSE 554.65