La nostra, che aveva fi no a quel momento bevuto
ogni singola parola udita, abbandonò felice quella
stanza ed entrò in un chiarore pallido.
Il celeste piatto metallico, attraverso le fi nestre
socchiuse della stanza, pungeva gli occhi di un bagno
di bianco. Purissimo bianco. Guardò la propria sagoma
stagliata dall’ombra sul pavimento scivolare lenta lungo un ramo sinuoso e
arcuato all’insù, con foglie vermiglio che sembravano preparate per essere il
suo giaciglio. Si appoggiò alla parete dell’albero e lì, con la testa già tra i
fumi stanchi del sonno, sbuffò pensieri freschi al chiaro di luna.
Si addormentò minuscola, senza potersi accorgere che lucciole silenziose
vegliavano sul suo riposo e che intrecci e ghirlande di rami e fi ori si
chinavano per proteggerla.
uto
no
uto
no
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