Era l’ora del giorno in cui l’ombra spegne i colori delle case e dei palazzi. Il Sole anche per quel giorno aveva,
come tutti al mondo, fatto il suo buon dovere, e si decideva proprio allora a risalire sul suo cocchio per lasciare spazio
all’algida collega notturna. Anche all’interno della stanza la luce si raffreddava intorpidita e a poco a poco cedeva
centimetri alla quiete e al silenzio. L’imbrunire avanzava quieto
e senza trionfalismi a guadagnare ogni angolo. La pace di ogni
senso era raggiunta in modo irrevocabile, non un sospiro gemente
o un lamento scontento guaiva di contro all’immobilità imperante:
nessuno era insoddisfatto. La foglia atterrò lieve su di un manto
di piume bianche che sembrava essere lì da sempre solo in attesa di
quell’atterraggio. La nostra viaggiatrice, straniera nella sua stessa
terra, si sentiva stanca, ma tranquillamente felice.
Osservava ogni cosa che faceva lentamente ritorno al proprio posto,
come quei petali di rose che le rotolarono accanto per andare ad
ammucchiarsi su una sporgenza, o su un sasso.
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