Un rumore meccanico iniziò a raggiungerla sommesso.
Uno scricchiolio metodico come da un continuo macinare
la avvicinò a un cespuglio di erbacce. Nascosta osservò
al centro dello spazio di terra arida una poderosa Locusta
intenta a trangugiare avida qualsiasi cosa le fosse rimasta
a tiro. Foglie, pezzi di legno, frutti marci, niente faceva
differenza, niente la saziava veramente. Pensò che non fosse
neanche in grado di muoversi, tanto la sua affannata attività
l’aveva appesantita. Appiattita dietro al cespuglio
rimase per un po’
ad osservare pietosa
l’infelicità di chi non
vuole più distinguere
e perciò ingurgita
l’indifferenziato,
di chi non sa più
desiderare né riconoscere
ciò che è meglio, di chi
consuma la sua felicità
distratto dall’abitudine,
corrodendola
piano
piano, ogni giorno.
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