Stories and Matters
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Milano, 22.11.2018
Come può l'uomo descrivere una città come un modello
esemplare, con forti caratteristiche umane, la cui storia
partecipa e osserva il cambiamento?
Milano non è solo la cità dove lavorano, è anche la cità
che ha viso crescere alcuni di loro e ne ha adotati altri.
Parlarne è forse più difcile per chi ci è nato, troppo afezio-
nati per poter essere oggetivi. Milano viene così ritrata
da un punto di visa personale dagli oto ositi della serata
che ne disegnano un profilo architetonico e umanisico.
Talking About 2018, #I Love Milano
L’evoluzione del tessuto urbano tra architetura e poetica
in collaborazione con Platorm
Ositi: Juan Conde, Ecletico Design;
Giacomo De Amicis, Deamicisarchiteti; Mateo Fantoni, Mateo Fantoni Studio;
Alfonso Femia, Atelier Femia; Francesco Fresa, Piuarch;
Michele Rossi, Park Associati; Claudio Saverino, Vudafieri Saverino Partner;
Claudio Silvesrin, Claudio Silvesrin Architeti; Paolo Volpato, Mateo Thun & Partners
Introdoti da: Simona Finessi
Moderatore: Luca Molinari
SIMONA FINESSI,
Direttore Responsabile di Platform
Ogni numero di Platform per noi è un eser-
cizio intellettuale, cerchiamo di fare uno
sforzo nell'immaginare degli scenari e rac-
contarli. Il tema che qui trattiamo è un tema
molto attuale. Milano è una capitale in
cui si incontrano studenti, persone che arri-
vano per lavoro da tutto il mondo o Milanesi
che ritornano dopo un periodo di studio
o lavoro all’estero e la sua particolarità
è quella di essere inclusiva ed accogliente,
di saper valorizzare i contributi che riceve
dall’esterno e di sapersi esprimere oggi con
un linguaggio internazionale. Abbiamo
chiesto un contributo, accompagnato da
un’immagine di sintesi, a otto professionisti
importanti della scena del progetto e dell’ar-
chitettura con base a Milano.
LUCA MOLINARI,
Direttore Editoriale di Platform
Introduco l’argomento parlando di un luogo
milanese, lo showroom di Rimadesio, un
luogo caratterizzato da una relazione molto
forte tra esterno e interno, la città fuori
scorre veloce ma allo stesso tempo ci si tro-
va in una casa molto accogliente. Del resto
Milano è una città introversa, i suoi spazi
sono interiori. Milano non è una città
di piazze. Dobbiamo ricordare che fino alla
fine dell'800 Milano non possedeva una
piazza, la prima è stata Piazza del Duomo
del 1870. Milano ha una dimensione pri-
vata che è insieme pubblica, è una città che
parla di una generosità discreta. Le sue
corti, i cortili e gli appartamenti sono under-
statement di una borghesia che le ha donato
l’aura di quella stessa modernità alla quale
ci ha abituati. Non a caso la Milano che
noi tutti oggi conosciamo venne costruita
tra l'800 e il ‘900, prima di quell’epoca
somigliava di più ad un paese. Oggi siamo
quindi nel terzo secolo di questa modernità
accogliente. In virtù di questa accoglienza,
in questo momento delicato soprattutto per
l'Europa, ecco una parola che accompagna
il tema: “Welcome”, una parola dal signifi-
cato forte e un po' politico, indica uno sguar-
do verso al futuro, simboleggia fiducia,
è monito di una positiva tendenza ad acco-
gliere, includere nuovi talenti importanti
per lo sviluppo di una città come Milano.
Milano non ha paura del futuro, il futuro
è già in progettazione.
JUAN CONDE
LM: Sei molto giovane hai studiato architet-
tura al Politecnico, hai fatto esperienze
all’estero e poi hai deciso di vivere a Milano.
Cosa ti ha portato a questa decisione, che
cosa apprezzi di più di questa città?
JC: Quando mi è stato chiesto di dare il mio
contributo ho subito pensato a quando
i miei amici colombiani mi chiedono “com'è
Milano?ˮ. Milano non è una città facile,
è piccola e introversa ma molto forte. Per
conoscere davvero Milano bisogna cammi-
nare molto, esplorare tutte le piccole vie al
di fuori dei circuiti più conosciuti. Io vengo
da Bogotà una città di 10milioni di persone
dove non si cammina quasi mai per spo-
starsi, tutto è troppo grande, difficile pen-
sare di raggiungere a piedi una meta. Ho
vissuto sempre in città grandi, dopo Bogotà
anche New York, a Milano però ho trovato
la mia dimensione. Una delle mie prime espe-
rienze di lavoro a Milano è stata nello studio
Citterio, mi piaceva andare a lavoro a piedi,
la mattina osservavo la città attiva e operosa
e la sera ammiravo la sua trasformazione.
LM: Per te Milano in sintesi è l'orto bota-
nico di Brera, un luogo in effetti molto
racchiuso e silenzioso. Perché hai scelto
questo luogo?
JC: L’Orto Botanico di Brera è un’oasi
magnifica e nascosta, emblema del carattere
quasi “fortificatorio” di Milano verso le sue
bellezze. Penso che descriva perfettamente
il mio pensiero, è una città che va conqui-
stata passo dopo passo.
GIACOMO DE AMICIS
LM: L'immagine che hai scelto è un detta-
glio in marmo di Candoglia. Dove hai scat-
tato la foto? è un dettaglio del monumento
a Pertini di Aldo Rossi oppure è un detta-
glio del Duomo? Hai aggiunto anche una no-
ta che recita: “ogni città ha un proprio cuore
dove nei secoli si sedimenta la sua essenza”.
GDA: Si tratta del Duomo. Da Milanese d'o-
rigine, cresciuto a Milano, ho avuto qual-
che difficoltà all'inizio quando mi è stato
chiesto di parlarne. Sembra sempre più faci-
le cogliere aspetti significativi di una città
quando la si incontra per la prima volta. Quin-
di per rispondere all'interrogativo ho ini-
ziato a girare in motorino, ho ripercorso i luo-
ghi della mia infanzia. La mia Milano è
molto estesa, da piccolo abitavo in centro di
fronte al Palazzo Delle Stelline, eravamo
in affitto e purtroppo poi abbiamo dovuto
spostarci. Successivamente ho abitato in
altre zone anche in periferia, ho cambiato
vari studi in diverse zone della città…
Dovendo ricercare i tratti più significativi ho
voluto guardare in profondità rispetto alla
storia e mi sono ritrovato a fotografare il la-
to sud del Duomo, in una porzione in cui
si evidenzia quasi esclusivamente la matrice,
la trama della superficie del marmo di
Candoglia. Come ho scritto la mia idea è che
“le città sedimentino la loro anima da qual-
che parteˮ e allora quale posto migliore se
non le pietre del monumento più significa-
tivo, secolare, costruito con un materiale
ormai raro, oggi disponibile solo per la
Fabbrica del Duomo? Milano ha la capacità
di cambiare pur essendo continua, di non
negare mai la sua anima profonda.
LM: Il marmo di Candoglia ha una storia
molto interessante, un tempo era di pro-
prietà dell'Arcivescovo di Milano e poteva
essere usato solamente per il Duomo di
Milano, ad eccezione esclusiva del monu-
mento ai caduti di Aldo Rossi. Ricordo
anche che il Duomo fu la prima vera galleria
di Milano perché il transetto un tempo era
aperto e poteva essere attraversato di giorno
e di notte. La cattedrale veniva attraversata
continuamente, un telo separava le funzioni
religiose da un uso più pubblico e quotidia-
no. Nell’immagine del marmo forse è nasco-
sto un richiamo a rallentare il passo?
GDA: Mi piace pensare che rallentare
lo sguardo e cercare questo linguaggio invi-
sibile tra le pietre sia un bellissimo richiamo
soprattutto oggi che stanno arrivando moltis-
simi nuovi giovani.
MATTEO FANTONI
LM: Tu sei tornato a Milano dopo un lungo
periodo da Foster, ma anche tu sei milanese
di nascita…
MF: io sono milanese ed ho avuto la fortuna
di nascere in via Manzoni, andavo con
mio nonno a prendere i pasticcini all'Alema-
gna, a scuola con mia sorella in Via della
Spiga, quando vendevano ancora il pollo
e i bottoni… Milano prima degli anni ’80
era una città molto diversa da quella che
è oggi, non erano ancora arrivate le botteghe
della moda. Milano è rigorosa, severa, di
lavoro, veloce ma mai presuntuosa. Quando
penso al milanese di una volta penso a mio
nonno, che si alzava presto la mattina, anda-
va in ufficio a piedi, tornava la sera e alle
6 e mezza cenava. Nella Milano degli anni
’80 poi, ci si incontrava nei bar, non c'erano
i cellulari, ci si vedeva in quelle poche vie,
che non erano piazze perché Milano non
è una città di piazze ma di corti – patrimo-
nio della nostra città – e allo stesso tempo
era una città di case operaie, di industrie e di
finanza. L'indole operosa della città è sem-
pre stata presente e forse il motivo per cui
oggi è percepita con grande interesse
è perché ha nel suo DNA una grande inter-
nazionalità. Progetti come quello della
Biblioteca degli Alberi o delle Torri sono
esempi di oggi ma se pensiamo a Gardella,
Albini, Soncini, Beretta, Giò Ponti. Si
avverte già dagli anni ‘50 il grande deside-
rio di verticalità.
LM: come contrappunto a questo mondo
dell'operatività hai però scelto di parlare
della periferia di Milano, la sua grande ric-
chezza. La fascia operaia industriale ha fatto
la forza di questa città, 20 anni di cantiere
oggi ci hanno riconsegnato una città comple-
tamente diversa. Milano è una città che
ancora si può attraversare a piedi in una gior-
nata e allo stesso tempo un territorio metro-
politano che arriva geograficamente molto
più lontano.
MF: Quello che sta succedendo adesso
a Milano è molto importante, è una rigene-
razione del tessuto. C'è un grande piano
di collegamenti tra le diverse aree di Milano.
Nel mio percorso ho visto Milano cambiare
diverse volte, da quella della mia infanzia a
quella degli anni ’80, a quella che ho trovato
poi tornando da un'esperienza all’estero,
è una città che pur conservando le sue corti
e il suo rigore, guarda al futuro e vuole
protrarsi in avanti come ha sempre fatto.
FRANCESCO FRESA
LM: Francesco, ci porti sul terrazzo del suo
studio, Piuarch sempre nel quartiere Brera,
da qui si vedono molti simboli del cambia-
mento della città.
FF: Milano a differenza di Roma richiede
un ruolo attivo. Non mostra la sua bellezza
in modo palese come Roma ma ti chiede
di andarla a cercare nei luoghi della sua iden-
tità, nei cortili. I cortili sono sempre stati
dei luoghi pubblici, la struttura della casa
di ringhiera era un sistema di scambio e
di condivisione. Ho portato come immagine
il nostro tetto nel quale abbiamo fatto co-
struire un orto. Volevamo utilizzare il tetto
come risorsa, l’idea era quella di riportare
l'agricoltura urbana all'interno della città,
una caratteristica storica di molte altre città
italiane. Spesso penso ai campi di grano
che si potevano vedere nelle fotografie del
tempo di guerra.
LM: È anche un tema molto contemporaneo
oggi che si cerca di non consumare più
terreni o risorse preziose usando le superfici
che già abbiamo, come in questo caso
il tetto. Un cambio di punto di vista per com-
prendere la scala della città.
FF: È la scala di Milano a renderla oggi così
fattiva e inclusiva. Grazie alla sua dimen-
sione urbana media ha la capacità di ricostru-
ire un tessuto urbano che si perderebbe in
una grande metropoli. Città come Milano,
Copenhagen, Amsterdam o Bruxelles
stanno affrontando un grande sviluppo pro-
prio perché sono delle città inclusive dove
i contributi di talenti di culture diverse han-
no apportato miglioramenti. Milano oggi
è un modello che spero possa essere conta-
minante anche per il resto dell’Italia.
MICHELE ROSSI
LM: Studio Park, uno studio che ha avuto
la fortuna in questi anni di lavorare su molti
edifici del dopoguerra. Lavorare sul patri-
monio del dopoguerra italiano significa ren-
dere confortevoli, energeticamente efficienti
edifici storici mantenendo una rispettosa
capacità di ascolto nei confronti una bellez-
za che non va snaturata. Questa sarà sem-
pre di più una delle mission dell’architettu-
ra? A quali progetti sei più affezionato?
MR: Il progetto che per me rappresenta
di più Milano è la ristrutturazione dell’edifi-
cio dei fratelli Soncini posto davanti alla
Permanente, un progetto che abbiamo amato
molto, che ci ha permesso in qualche mo-
do di lavorare con i nostri maestri. Amiamo
concepire il progetto di ristrutturazione
come una sorta di coprogettazione, cerchia-
mo di dare un'interpretazione contempo-
ranea al volere del progettista, ci piace che
l'impressione dell'edificio continui a per-
durare in chi lo osserva prima e dopo gli
interventi.
LM: quali sono gli edifici di Milano che ami
di più, quelli che vorresti consigliare?
MR: gli edifici del dopoguerra sono quelli
che amo di più e certamente l’edificio di Gio
Ponti in Piazza Caiazzo – sono vissuto li
e l'ho visto crescere… Il dopoguerra è stato
un periodo molto fecondo di soluzioni.
LM: questo patrimonio che ha bisogno
di essere ripensato strutturalmente è una
grande risorsa di molte città europee,
i materiali moderni erano destinati a durare
molto poco e questo è un tema straordi-
nario per la creatività.
MR: Milano è un laboratorio. Gli stessi
spazi industriali e i cortili oggi vengono tra-
sformati dalle nuove realtà che li abitano
soprattutto per lavoro, penso che questo crei
una continuità affascinante, propria della
cultura morale di questa città.
CLAUDIO SAVERINO
LM: chinatown, più antica comunità
cinese d'italia.
CS: non ho voluto fotografare qualcosa di
architettonico ma ho voluto rappresentare
una realtà sociale. Mi è venuta in mente una
discussione da bar con un'amica romana
che accusava i milanesi di provincialismo
anche se io credo che nel profondo Milano
sia una città curiosa, non una città provin-
ciale. Milano ha sempre voglia di spe-
rimentare e di rinnovare, il rischio è che
possano perdersi alcune importanti tracce
delle sue origini. Mia nonna, che era la sarta
di Portaluppi, mi ha sempre raccontato di
una Milano non più esistente. Quando insie-
me guardavamo dalla finestra su via Gari-
gliano, il quartiere Isola stava cominciando
a crescere con i primi grattacieli di Porta
Garibaldi. Mi guardava e mi diceva “Voi
architetti state rovinando Milanoˮ e io
ci rimanevo un po’ male. Era nata nel 1907,
aveva fatto il viaggio di nozze a Monza
muovendosi in carrozza a cavallo e racconta-
va di quando facevano i pic nic nei campi
intorno alle vie dell'isola e mettevano il vino
a rinfrescare nell’acqua dei fiumi. Rivivevo
Milano nei suoi occhi e nei suoi racconti,una
città straordinariamente d'acqua, nata su dei
canali e una serie di reti artificiali incredibili
che purtroppo è stata quasi dimenticata.
LM: Allo stesso tempo questa città in cui
a volte dai campi si sentiva l'odore dell'erba
tagliata è anche la stessa che poi ha deciso
di cambiare, di fare il primo Expo, di avere
le prime centrali elettriche, di diventare
capitale di una modernità che poi ha trasfor-
mato questo Paese.
CLAUDIO SILVESTRIN
LM: Milano ha anche una dimensione mo-
rale molto forte, ha avuto delle voci impor-
tanti che si sono fatte ascoltare, penso
a Dario Fo, Cardinal Montini, Giovanni
Testori…
CS: Una poesia di una poetessa milanese,
Alda Merini recita: “Nelle strade nevrotiche
della città, gli uomini si rincorrono mangian-
dosi l'un l’altro”. I poeti hanno coraggio e san-
no essere franchi. Milano è una città talvolta
respingente e dai ritmi stressanti, va accet-
tata con grande consapevolezza e forza. La
velocità di Milano è travolgente, a volte non
lascia il tempo di trovare un proprio ritmo.
PAOLO VOLPATO
LM: Tu hai una storia molto bella che passa
attraverso i grandi studi di progettazione,
da Lissoni a Matteo Thun. Ci hai portato
un'immagine del Grattacielo Pirelli.
PV: è uno dei progetti di Milano che amo
di più. Mi ricordo questo parallelismo: tan-
tissimi anni fa, era l'83, andai a New York,
salii sulle Torri Gemelle, pensavo che avrei
osservato dall'alto le persone molto piccole
muoversi da lontano, invece vidi solo neb-
bia. Dal Pirelli invece vidi quelle che
Buzzati chiamava le “formichine operoseˮ.
Milano è una città operosa ma non frenetica,
è una città dinamica. L'immagine del Pirelli
per me esprime tutta la voglia di muoversi
in verticale di Milano, una verticalità che
oggi più che mai rappresenta un vantaggio.
LM: Mi vengono in mente due bellissime
immagini.
– Un racconto, “Ascolto il tuo cuore o cittàˮ
di Savinio che racconta del primo ascensore
della città di Milano, un palazzo di dieci
piani: “Salendo si sentiva e si perdeva
il rumore della città e si incontravan gli dei
perché stavano banchettando in cima”;
– Durante i titoli di testa del film “La notteˮ
di Antonioni, mentre l’ascensore scende,
si vede una città che è ancora campagna.
Erano i primi anni ’60, il grattacielo Pirelli
era appena stato ultimato e deteneva
il record come edificio più alto d’Europa.