Stories and Matters
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Milano, 04.10.2018
Cosa si intende per contract? Come si inserisce
nell’immaginario progettuale e nei diversi contesti in cui
si applica?
Il Contrac sotopone quasi sempre il progetisa alla
serimentazione: come in un processo di creazione
artisica immagina soluzioni esetiche tesando i risultati
della materia ma viene a pati con l’esercizio cosante
del mantenere i cosi.
Il valore delle commisioni interdisciplinari
In collaborazione con Area
Ositi: Alessandro Adamo, DEGW;
Marco Casamonti, Archea Associati;
Gianluca Pelufo, GianlucaPelufo&Partners
Moderatore: Mateo Ruta, diretore Arketipo
Talking About 2018, Contract & Progetto
Dal tema del brief al progetto, il contract
rappresenta un vero e proprio accordo tra il
progettista e le aziende. Nell’ottica di una
gestione generale del progetto, semplificare
sistemi architettonici complessi sembra
essere tra i principali obiettivi. Contract
però significa anche personalizzare gli spazi
attraverso scelte innovative e qualitative
nell’impiego dei materiali e nell’ingegneriz-
zazione. Le sfide progettuali narrate di
seguito costruiscono così una guida e un pre-
testo per elencare alcune necessità che
spesso emergono in fase di studio: come
portare l’identità italiana all’estero preser-
vando il carattere culturale dei luoghi e del
paesaggio, o come creare elementi di conti-
nuità applicando un nuovo linguaggio archi-
tettonico oltre che funzionale. Si parla poi
dell’opportunità di creare un dialogo con i for-
nitori locali facendo scelte costruttive che
vadano incontro alle esigenze anche econo-
miche del luogo, della ricerca di un ponte tra
l’architettura e le arti, dell’obiettivo quanto
mai attuale di progettare in modo sostenbile.
Rispondere alle esigenze della committen-
za significa progettare a partire dall’osserva-
zione dello spazio. Compito del progettista
è anche quello di individuare soluzioni effi-
caci per concentrare le risorse rispetto alla
superfici progettando in base alle funzioni
specifiche degli spazi, ideare percorsi stra-
tegici di collegamento tra le diverse aree di
lavoro, sempre più dinamiche grazie al
supporto della tecnologia responsabile di
un'importante evoluzione nel metodo e nel
flusso di lavoro. Che rapporto intercorre
con i fornitori? Spesso un’abilità sottovalu-
tata è proprio quella di scegliere di intera-
gire con fornitori che abbiano un approccio
artigianale alla realizzazione dei dettagli
e che sappiano applicare la creatività alle
necessità dettate dai vincoli di budget.
Fare architettura è mettere l’uomo al centro
del progetto in una visione quasi rinasci-
mentale in cui arte e scienza, razionalità e
interpretazione possono originare nuove
strade e nuovi linguaggi espressivi. Il
Contract sottopone quasi sempre il pro-
gettista alla sperimentazione: come in un
processo di creazione artistica immagina
soluzioni estetiche testando i risultati
della materia ma viene a patti con l’eser-
cizio costante del mantenere i costi. Una
dialettica degli opposti nella quale le
aziende italiane, grazie alla loro grande
versatilità, capacità e buon gusto, trovano
proficue occasioni di confronto anche
all’estero.
GIANLUCA PELUFFO
Un tema centrale quando si parla di contract
è rappresentato dal dialogo tra culture pro-
fondamente diverse. Spesso ci si trova a pro-
gettare fuori dall’Italia e avere un'identità
molto forte dalla quale partire è in se uno
strumento di comunicazione essenziale.
Attualmente stiamo realizzando delle grandi
aree in territorio egiziano, in luoghi deser-
tici e montagnosi, dove spesso l'unico rap-
porto spaziale tra gli elementi è quello che
intercorre tra l'edificio e il cielo o tra gli edi-
fici e il mare. I due principali progetti per
dimensione ai quali stiamo lavorando si tro-
vano vicino al Cairo. La prima area sulla
quale abbiamo operato è un deserto monta-
gnoso posto sul mare, a 150 km dal Cairo,
solitamente vissuta come meta di vacanza.
Siamo stati incaricati di fare un masterplan
molto grande che prevede 8000 unità che
a loro volta comprendono circa 30 tipologie
differenti di abitazioni e 3 hotel. Il primo
lotto in fase di realizzazione è di ben 2000
unità. La prima grande sfida quando ci si
confronta con un progetto così grande è si-
curamente quella di “inventare” subito un
linguaggio architettonico oltre a concentrar-
si sull'area dal punto di vista funzionale
e del sistema degli spazi pubblici. Per questo
il progetto è stato preceduto da una fase
intensa di ricerca che ci ha permesso di entra-
re nello spirito del luogo: una ricerca per
immagini e storiografica è servita a trovare
punti di raccordo importanti tra la storia
della forma in Italia e la cultura egiziana.
Nello specifico caso di questo luogo, il tema
architettonico ha interessato i primi step
di progetto: trovandoci affacciati su un porto
turistico, abbiamo pensato agli edifici come
a dei corpi, degli elementi con dei veri e
propri occhi per poter guardare il paesaggio.
Basandoci anche su informazioni tecniche
come il cammino del vento, abbiamo potuto
operare scelte fondamentali nella selezione
dei materiali. Sugli esterni abbiamo cercato
di lavorare con materiali le cui specificità
potessero dialogare con la tradizione locale
e con le caratteristiche primitive della natura
circostante. Allo stesso tempo abbiamo por-
tato all'interno del progetto la caratteristica
qualità italiana nella lavorazione dei materia-
li, come ad esempio la ceramica. Le scelte
costruttive dipendono in molti casi dalla si-
tuazione economica locale, ma soprattutto
dalle caratteristiche del luogo. Il secondo
progetto con base in Egitto è una città
universitaria, anche in questo caso di circa
8000 unità, sempre vicino al Cairo, nella
direzione del Mar Rosso. Il tema di partenza
era quello di mantenere una zona centrale
universitaria con 3 campus e 4 blocchi sco-
lastici pre-universitari. Il brief prevedeva
un sistema di downtown lungo le strade prin-
cipali della città dove costruire residenze
per studenti e residenze vere e proprie. Vole-
vamo che il sistema delle università fosse
generatore di movimento rispetto al sistema
urbano, per questo abbiamo creato una
rete urbana di collegamento e mezzi pubbli-
ci che assecondasse questo andamento
non-dispersivo.
ALESSANDRO ADAMO
Mi occupo in particolare di tutto il mondo
legato al workplace. Sono entrato molto gio-
vane in DEGW, una realtà che si occupa
esclusivamente di progettazione e consulen-
za spazio-ufficio. Fin dall’inizio, i 4 soci
fondatori erano convinti che lo spazio doves-
se adeguarsi alle esigenze delle organizza-
zioni per costruire al meglio il loro modello
di business, da questa idea è nata una so-
cietà molto di nicchia. Occuparsi solo di un
ambito della progettazione è abbastanza
esclusivo e oggi siamo all'interno di un grup-
po molto più ampio, Lombardini 22, che
crede sempre nella nicchia di progettazione
dei vari settori. Abbiamo una divisione
luxury, una dedicata alla physical branding,
oltre alla divisione dedicata al mondo degli
uffici di cui faccio parte. Osservazione
e analisi costituiscono due attività molto spe-
cifiche alla base del nostro metodo di pro-
gettazione: cerchiamo di capire in modo
reale come viene utilizzato lo spazio uffi-
cio nel corso della giornata lavorativa.
Questo metodo è stato brevettato da DEGW
circa 20 anni fa, attraverso l’esperienza di
lavoro con le società telefoniche. Da allora
sono cambiate molte cose, le società un
tempo non erano molto attente all’aspetto
della fruizione, mentre oggi stanno ca-
pendo l'importanza di investire in progetti
che migliorino la produttività. Negli ulti-
mi anni questa analisi preliminare è un'atti-
vità molto richiesta, in particolare nel
mondo finanziario. Si pensi che oggi per un
lavoratore il tempo medio di occupazione
dello spazio ufficio rappresenta circa il 60%
del tempo passato in azienda, mentre quello
del posto lavoro è intorno al 40%. Questi
dati spiegano perché ci occupiamo soprat-
tutto di space-planning, cercando di capire
le necessità specifiche delle diverse orga-
nizzazioni. Un cambiamento sostanziale che
ha ridefinito, in alcuni casi rivoluzionato,
i flussi di lavoro è dato dalle tecnologie che
ci permettono di non occupare fisicamente
un solo posto di lavoro ed essere quindi
molto più decentrati rispetto al passato. Il
tema degli spazi, della mobilità e del lavoro
in team sono tre punti sui quali ragioniamo.
Sicuramente negli anni ’70 la mobilità non
esisteva e il lavoro in team era molto meno
frequente; gli ambienti di lavoro erano per lo
più fatti di lunghi corridoi sui quali affaccia-
vano uffici chiusi, mentre la percentuale di
aree di supporto era molto bassa. In seguito,
negli anni ’90, le organizzazioni hanno
cominciato a lavorare sul tema dell'efficien-
za, aumentando la superficie di persone
per metro quadro che abitavano non più
degli uffici ma degli open space. Le organiz-
zazioni danno molto peso alla velocità delle
informazioni e alla qualità del lavoro in
team e per raggiungere questo obiettivo cer-
cano il supporto delle tecnologie. Il peso
si sposta così dall'efficienza all'efficacia dello
spazio e sulla diversificazione degli spazi
in base agli utilizzi. Lavorare sulla pianifica-
zione degli spazi di lavoro oggi significa
anche relazionarsi con una nuova idea del
lavoro: la gerarchia ha sempre meno rile-
vanza, si ragiona meno sul livello organiz-
zativo e più sul tipo di attività che viene
svolta in ufficio e sulla caratteristica del
lavoratore di essere resident o mobile.
Anche i ristoranti aziendali sono visti come
delle grandi risorse, spazi che possono
essere utilizzati anche durante la giornata
lavorativa per riunioni. Nella fase di studio
è molto importante tenere conto di due com-
plessità diverse: l’analisi oggettiva e quella
soggettiva / percettiva. I dati ricavati da una
prima fase di lavoro sono il risultato di un
monitoraggio costante in relazione al fattore
tempo e per numero di persone; a questi
dati uniamo le risposte ai questionari di un
campione di partecipanti selezionati. Questa
somma ci permette di accostare a dati og-
gettivi e scientifici una scansione più vasta
di emozioni basate sulla percezione e sulla
sensibilità dei singoli individui in relazio-
ne al luogo e al cambiamento. Oltre ad
osservare, capire qual è il modello ideale
da implementare, definire attività e tipolo-
gie di lavoro, è necessario lavorare anche
sulle tecnologie per unire l’innovazione
degli spazi alla loro abilitazione. Un caso
significativo in questo senso è quello di
Microsoft, che trasferendosi nella nuova
sede di Milano nell'edificio progettato da
Herzog & De Meuron è passata da 20.000
mq della sede precedente agli attuali 7.000
mq. Oggi le aziende ci chiedono semplicità
nel dimensionamento e nel design degli
spazi. Attenzione particolare va dedicata
ai tall buildings: una bellissima esperien-
za recente, appena conclusa e che ha visto
coinvolta anche Rimadesio, è stata il pro-
getto della torre di Allianz. E proprio in
questo periodo stiamo lavorando sul pro-
getto di Price PwC, la terza torre del quar-
tiere City Life. Il tema del grattacielo oggi
ci pone davanti ad elementi complessi che
devono allo stesso tempo essere efficienti
e funzionali. Una torre ha delle caratteristi-
che di efficienza molto diverse da altri
edifici: ad esempio è importante la possibi-
lità di modifica del layout interno, così da
permettere una buona gestione dei flussi:
la soluzione della pianta libera pone al cen-
tro del progetto le persone e le loro esigenze.
Proprio perché crediamo che le persone
siano il vero valore delle organizzazioni cre-
diamo anche che, quando ci sono progetti
di cambiamento, sia molto importante pre-
pararle a vivere i nuovi spazi attraverso il
coinvolgimento.
MARCO CASAMONTI
Da tanti anni ci occupiamo del rapporto tra
l'architettura e le arti, le arti figurative,
il cinema, la letteratura in particolare, e tra
tutte le arti, credo che la letteratura sia la
più indicata per capire l'architettura.
Se dovessi insegnare ad un giovane studente
del primo anno come scrivere un saggio
di architettura in un linguaggio che non
gli è proprio, gli direi di non pensare
all'architettura, di pensare piuttosto di
scrivere un racconto con gli strumenti che
già possiede. Il motivo per cui la letteratura
è vicina all'architettura è che si tratta di un
sapere molto complesso, un'equazione con
molte incognite. Le parole e il loro signifi-
cato mi interessano molto e l’architettura
è una di quelle discipline alla quale troppo
spesso associamo parole cui non sappiamo
dare il giusto peso, come “smart city” o “ar-
chitettura sostenibileˮ… Mi sono interro-
gato quindi sulla parola contract, che altro
non è che un contratto tra il progettista e le
aziende, e ho pensato che in questo caso
le aziende italiane rappresentano un interlo-
cutore particolare, in grado di risolvere
il problema attraverso la semplificazione
di un sapere complesso. Penso che sia molto
importante oggi lavorare con aziende che
facciano ricerca, che abbiano un know how,
un sapere col quale il progettista possa
plasmare il proprio progetto. Per usare una
parola citata poco fa, il progettista dovrebbe
essere “smartˮ, cercare la modalità migliore
per collegare in modo veloce e intelligente
tutte le risorse legate al progetto e allo stesso
tempo, preoccuparsi del “contract”, ovvero
scegliere gli artigiani migliori che semplifi-
chino le problematiche senza perdere le
qualità estetiche intrinseche all’opera da rea-
lizzare. L'architetto in fondo progetta pen-
sando al mondo delle arti. Kant diceva che
“l'architettura è un'arte minore perché serve
a uno scopo” (“pulchritudo adherens”),
al contrario dell'arte che si fa per il piacere.
Io invece penso che sia più difficile fare
qualcosa che sia funzionale, che aderisca ad
uno scopo, dove ci sia complessità sulla
quale lavorare. L'architetto oggi dovrebbe
essere anche un po' artista, dovrebbe riu-
scire a progettare i propri materiali, ad impe-
gnare le aziende. In questo senso le aziende
italiane sono avvantaggiate: sono in realtà
composte di artigiani in grado di produrre
soluzioni inedite con una qualità paragona-
bile alla produzione industriale. L'archi-
tettura in fondo è materia e tattilità, e l’archi-
tetto dovrebbe saper progettare anche
i mattoni di cui è fatta.