Stories and Matters
2018
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Architettura
C
onoscenza, etica, bene comune,
qualità e responsabilità: sono i termini
che riassumono le argomentazioni fon-
damentali del trattato De Architectura1,
scritto da Marco Vitruvio Pollione, ma
mai come oggi capaci di descrivere lo stato
dell’architettura e, in particolare, il ruolo
dell’architetto. Se infatti non vi è alcun
dubbio in merito all’infl uenza dell’architet-
tura e del design sull’esistenza dell’uomo,
appare allo stesso tempo evidente come
il progetto debba collocarsi maggiormente
al centro della vita quotidiana, delle sue
dinamiche, dei suoi ritmi e in generale delle
consuetudini abitative.
La centralità del progetto rappresenta infatti
una vera e propria necessità, non ulterior-
mente procrastinabile visti i parametri di
crescita demografi ca dei prossimi anni,
stimati, con ragionevole certezza, dal rap-
porto annuale redatto dalle Nazioni Unite:
sul pianeta Terra saremo 8 miliardi nel 2023;
8,6 miliardi nel 2030; 9,8 miliardi nel
2050 e 11 miliardi nel 2100.
A questi dati occorre poi aggiungere una
constatazione ovvero più della metà di
tale aumento della popolazione sarà concen-
trato in nove paesi soltanto: India, Nige-
ria, Repubblica Democratica del Congo,
Pakistan, Etiopia, Tanzania, Stati Uniti,
Uganda e Indonesia. L’India, che oggi conta
1 miliardo e 300 milioni di abitanti, pari
al 18% della popolazione mondiale, diven-
terà il paese più popoloso, superando la
Cina (1 miliardo e 400 milioni), mentre
le nazioni europee saranno le uniche al
mondo in cui il numero di abitanti si ridur-
rà tra il 2017 e il 2030, passando da 742
milioni a 739 milioni.
Al di là delle cifre, è fi n troppo scontato
affermare che ci sarà bisogno di proget-
tare o riprogettare città, strade, quartieri,
case e sistemi di arredo. Ma, in realtà,
bisognerà fare molto di più: occorrerà im-
maginare modelli abitativi alternativi o
complementari a quelli esistenti, ridefi nire
dinamiche legate alla vita, al lavoro e
allo svago degli abitanti di metropoli sempre
più affollate, ridisegnare i fl ussi di persone
e cose in uno spazio sempre più ristretto,
regolare l’integrazione tra un costruito
in costante evoluzione e l’ambiente natu-
rale sempre più assediato dalla presenza
dell’uomo, infi ne, se possibile, ricucire lo
strappo che si è creato tra uomo e natura.
L’architettura oggi è tutto questo: un mix
di complessità e sintesi, un connubio
tra linguaggio e tecnica, tra essere e fare,
tra forma e funzione. Ma forse è sempre
stato così. Tra le più riuscite defi nizioni
di architettura ricordiamo infatti quella
di uno dei padri fondatori del Movimento
Moderno, diceva Adolf Loos nel celebre
Ornamento è delitto2, scritto nel 1908:
“Se in un bosco troviamo un tumulo, lungo
sei piedi e largo tre, disposto… a forma
di piramide, ci facciamo seri e qualcosa
dice dentro di noi: qui è sepolto un uomo.
Questa è architettura”.
In questa frase è riassunto il senso stesso
della nozione di architettura: si parte da
un luogo ben specifi co, in questo caso il
bosco, un luogo che ha in sé caratteri-
stiche uniche e irripetibili, un ambiente
capace di provocare nell’uomo, che lo vive
e lo percorre, emozioni e pensieri diversi
da quelli che potrebbe suscitare qualsiasi
altro luogo. Poi, tutt’a un tratto, compare
l’artifi cio, il costruito, un tumulo in que-
sto caso, qualcosa che va a interrompere
l’equilibrio della natura per innescare
un nuovo sistema di relazioni. La presenza
dell’opera genera una reazione, provoca
uno stato d’animo in chi l’osserva: “ci si fa
seri”! L’architettura quindi può, anzi
deve, generare un’emozione, la predisposi-
zione a essere partecipi di un’esperienza.
Ma non solo. Nella defi nizione di Loos è
esplicita anche l’esperienza del costruire,
ovvero la necessità per l’uomo di avvalersi
di strumenti e tecniche per dare forma
all’architettura, in questo caso una piramide.
Un volume con geometrie, regole e di-
mensioni ben precise, puntualmente riferi-
te al corpo umano (6 piedi × 3 piedi),
da sempre metro di confronto per lo spazio
(lo riaffermerà con forza Le Corbusier,
circa 50 anni più tardi, proponendo il
Modulor). La regola quindi si traduce
in riconoscibilità: chiunque si trovasse di
fronte alla piramide nel bosco compren-
derebbe immediatamente, senza bisogno
di essere un architetto, che si tratta di una
tomba. La defi nizione di Loos riassume
dunque al meglio i temi che ruotano attor-
no all’architettura, ma soprattutto mette in
evidenza il complesso mondo di relazioni
che si instaura tra chi costruisce, chi guar-
da e chi vive l’architettura.
Pur rimanendo intatto il potere iconico
dell’architettura, oggi, trascorsi più di 100
anni dalla Vienna loosiana, dobbiamo con-
statare che le dinamiche e i processi legati
al progetto si sono profondamente modifi -
cati, in particolare perchè non coinvolgono
più soltanto architetti e interior designer,
ma, in maniera sempre crescente, anche
i committenti e i realizzatori. Nella vita
“fl uida” del nuovo millennio, i ruoli spesso
si confondono, le competenze, pur restando
specifi che, si integrano, gli obiettivi vengo-
no condivisi, i processi si trasformano, le
tecnologie evolvono rapidamente.
Ecco allora che, a scala territoriale, i progetti
più riusciti degli ultimi anni sono quelli
che hanno saputo interpretare l’identità
di una città o di un agglomerato urbano,
rafforzandola grazie a interventi in grado
di esprimere modernità senza per questo
prevaricare sullo spirito del luogo: quar-
tieri ed edifi ci capaci di integrarsi nel
tessuto, esprimendo la contemporaneità
senza per questo cancellare il passato.
L
e grandi aree ex industriali delle città,
europee ma non solo, hanno rappre-
sentato e rappresentano in questo senso
un potenziale straordinario. A Londra
come a Milano, a Parigi come a Berlino,
numerosi sono stati i progetti che hanno
saputo colmare una lacuna, ricucire una
ferita, esprimere un’energia propositiva,
trasformando problemi in opportunità:
dal londinese Battersea Park al milanese
Porta Nuova, dall’Hafen City sull’area
portuale di Amburgo ai progetti che stanno
interessando i quartieri periferici parigini.
Operazioni caratterizzate tutte dalla mas-
sima attenzione all’utilizzo delle risorse.
Grandi aree dismesse che tornano a essere
strategiche nella trasformazione della
città, proponendo spazi condivisi e nuovi
luoghi di socialità, nei quali coesistono
la dimensione pubblica e quella privata.
L
e ex-zone industriali, arricchite da
piazze coperte intese come nuove agorà,
si pongono infatti come volano di attrazio-
ne e sviluppo. Ma, un occhio progettuale
caratterizzato da una visione comunita-
ria, non si riferisce unicamente ai luoghi
urbani, analoga attenzione può essere
rilevata negli ambienti lounge degli hotel,
intesi non più come spazi di passaggio
verso l’individualità della propria camera,
ma come luoghi di relazione, incontro e
business, insomma di vita3. Analogamente
si potrebbe leggere anche il fenomeno
che porta ad abitare gli “esterni” degli edifi ci
come naturale ampliamento degli “interni”,
piuttosto che come “altro da sé”.
Un meccanismo di sviluppo paragonabile
è in corso persino per quanto concerne
le infrastrutture. In un mondo in perenne
movimento, sempre più spesso aeroporti,
stazioni, ma anche ponti e strade, diventa-
no occasioni per ridefi nire un territorio,
riannodare un tessuto, riqualifi care un brano
di città o restituire linfa vitale a una peri-
feria. La riuscitissima High Line di New
York ha fatto scuola e sono numerosi
oggi i progetti che mirano al recupero e alla
riqualifi cazione di ferrovie dismesse, di
strade sopraelevate o di altre infrastrutture
mediante l’inserimento di nuove funzioni,
l’integrazione del verde e di piste ciclabili
(in questi modelli Milano deve trovare
un esempio, chiaro e fattivo, per i progetti
di recupero degli ex-scali ferroviari, aree
che rappresentano, senza dubbio alcuno,
una grande possibilità per lo sviluppo
futuro della metropoli lombarda). Il ruolo
della progettazione nel cambiamento della
città non è dunque più appannaggio dei
soli tecnici, architetti, urbanisti, designer,
ma viene realmente condiviso con le
comunità locali che, sempre più spesso, si
pongono come protagoniste dei processi
decisionali.
Altri esempi evidenti di questo movimento
di consapevolezza possono essere trovati
nelle nuove forme di social housing o di
co-housing, negli incubatori di start up
così come negli spazi di co-working, per
arrivare alla micro-scala del bike sharing.
In parallelo, la riduzione dello spazio dispo-
nibile nelle metropoli, già attualmente
ma a maggior ragione in futuro – l’Ocse
prevede che nel 2030, due terzi dell’uma-
nità sarà insediata in centri urbani4 –, ha
favorito la concentrazione degli edifi ci
e il loro sviluppo verticale. Il progetto
architettonico si è così trasformato, nei
casi più virtuosi, in un’occasione di speri-
mentazione tecnologica, di ridefi nizione
tipologica e di riorganizzazione del tessu-
to. Senza contare che i nuovi grattacieli,
che stanno trasformando il volto delle città,
vengono oggi disegnati fi n nel più piccolo
dettaglio, quasi come oggetti preziosi.
Gli architetti approfi ttano infatti del posi-
zionamento isolato di questi grandi ogget-
ti per trasformarli in icone, riconoscibili,
sia fi sicamente che metaforicamente, “da
lontano”. Si può rilevare come un mecca-
nismo in certo modo analogo si verifi chi
anche all’interno delle case, con gli arredi
più importanti, destinati al living o alla
cucina, ormai concepiti come micro-ar-
chitetture auto-espressive, capaci quindi
di parlare attraverso rapporti di pieni e di
vuoti, giochi di luci e di ombre. Dimenti-
cando la banale mono-matericità, il design
si arricchisce di accostamenti tra fi niture,
materiali e colori differenti. Perché davve-
ro le logiche del progetto e l’immaginario
formale sono oggi analoghi, sia che si trat-
ti di architettura che di interior.
In un caso e nell’altro, naturalmente sem-
pre facendo riferimento alle situazione di
ricerca più felici, varranno gli equilibri
proporzionali e dimensionali tra i volumi,
il rapporto degli artefatti con la luce na-
turale o artifi ciale, le valenze cromatiche
e la valutazione della resa dei materiali su
diversi supporti: in una parola il coinvol-
gimento di tutti i sensi nella fruizione di
uno spazio o nell’utilizzo di un oggetto.
Come dicevamo architettura e, scendendo
di scala, interior design si fondono e le
divisioni formali e concettuali fra interno
ed esterno si annullano.
Conseguentemente viene by-passata
quella scissione di ruoli che aveva portato,
in un recente passato, l’architetto artefi ce
dell’edifi cio a disinteressarsi degli interni
e delle fi niture. Al contrario si ripropone
oggi, citando gli inizi del Modernismo,
un pensiero organicamente unitario capace
di guidare le scelte e di defi nire sia gli
aspetti funzionali che quelli estetici fi n dalle
prime fasi del concept.
Lo spirito del passato lascia spazio a
strutture aperte nelle quali “il dentro e il
fuori” si compenetrano senza soluzione
di continuità, in un’osmosi favorita da scelte
di superfi ci e materiali sempre più per-
formanti anche in ambito outdoor. Ecco
allora che è facile ipotizzare, anzi è già
possibile verifi care, una città in cui non
esisteranno più le strade e gli edifi ci che
vi si affacciano, ma piuttosto la compene-
trazione di entità, con spazi privati che
integrano funzioni pubbliche e ambienti
pubblici che ospitano al proprio interno
attività private diversifi cate.
A
segnare una signifi cativa, possibile
variazione nella visione della proget-
tazione di interni, smaltita la sbornia degli
open space5 e dei loft, le tendenze più attuali
cercano di recuperare un giusto equilibrio
tra sfera pubblica e privata, tra condivisione
e privacy, tra omologazione e personalizza-
zione degli spazi. E questo avviene, al di là
della forma e dello stile, soprattutto grazie
al lavoro sulla materia, segnato parallelamen-
te dalla riscoperta di materiali del passato
e dalla sperimentazione di nuove futuribili
superfi ci ad alta prestazione, caratteriz-
zate da texture sofi sticate, accostamenti e
rapporti cromatici inediti.
Il mondo del progetto, a qualsiasi scala,
vive dunque oggi un momento di ridefi ni-
zione delle regole, una fase di passaggio
dal formalismo a una maggiore coerenza
e consapevolezza della necessità di andare
oltre le mode e le tendenze. Architetti e in-
terior designer non possono più prescin-
dere da una conoscenza trasversale, e allo
stesso tempo approfondita, dei materiali,
delle tecnologie e dei sistemi più innovativi
disponibili sul mercato, così come dalla
capacità di sviluppare strategie economiche,
di gestire tempistiche, di formulare ipotesi
di riutilizzo e trasformazione. Anche in
questa accezione il ruolo dell’architetto,
o del progettista più in generale, è profon-
damente cambiato.
Sebbene l’architetto abbia sempre saputo,
seppur con le doverose distinzioni per
ogni epoca, mixare al meglio competenze
tecniche e talento artistico, bisogna rilevare
come oggi esistano, e si stiano diffondendo,
metodologie progettuali innovative e nuo-
ve forme di rappresentazione che possono
sostituire, o meglio affi ancare, alcune
mansioni dell’architetto: facciamo riferi-
mento, ad esempio, al design parametrico o
la progettazione generativa che intervengo-
no nelle fasi iniziali del progetto.
Per quanto sia chiaro che tali strumenti
non potranno sostituirsi all’ideazione,
al pensiero, in una parola alla creatività,
tuttavia è necessario, sia pur soltanto
per poterli sfruttare al meglio, conoscerli.
Si pone quindi, anche per l’architettura,
la questione essenziale del sapere e, conse-
guentemente, dei livelli di formazione,
del ruolo delle università, ovvero della ca-
pacità della scuola di formare i progettisti
di domani. Nel tempo i corsi di laurea in
architettura e design si sono frammentati
in declinazioni e specializzazioni sempre
maggiori. Ne è un esempio la crescente
attenzione al tema della sostenibilità e del
progettare consapevole e la proliferazione
di corsi di studio che approfondiscono le
tematiche dell’effi cienza energetica, della
conoscenza e del rispetto del territorio, della
consapevolezza delle conseguenze sull’am-
biente di ogni azione compiuta dall’uomo.
Nelle migliori facoltà di architettura6,
sempre più spazio viene dato all’aspetto
green della progettazione, come con-
fermano alcune recenti statistiche sugli
atenei: dai piani didattici dell’University
of Hong Kong a quelli dell’University of
Carolina, dai corsi di Architettura Sosteni-
bile della Norwegian University of Science
and Technology, al corso di Architettura
Ambientale del Politecnico di Milano alle
proposte delle numerose università anglo-
sassoni come The University of Sheffi eld o
The Sydney School of Architecture, Design
and Planning.
M
a la conoscenza non si crea solo
a scuola: il progetto architettoni-
co, o quello di un prodotto industriale,
coinvolgono oggi moltissimi referenti.
È perciò necessario che si inneschi un
rapporto virtuoso tra il progettista e una
struttura tecnica dotata di una specializ-
zazione così sofi sticata da essere necessa-
riamente interna alle aziende produttrici
di materiali, soluzioni o prodotti fi niti.
Parallelamente questa complessità del
processo progettuale ha spinto alcuni studi
di architettura a dotarsi di competenze
interne specifi che su tecnologie di
progettazione innovative, modellazione,
materiali, tecnologie sostenibili, senza
per altro scardinare l’idea che il sapere
possa risiedere anche altrove, ad esempio
nelle botteghe artigiane, presso i trasfor-
matori di materiali, con i quali lo studio
deve tenere aperto un dialogo costante
e costruttivo. Da Aecom a Gensler da
Nikken Sekkei a Hok o ancora da OMA
di Rem Koolhas a Foster + Partners,
da Zaha Hadid Architects a Renzo Piano
Building Workshop, i grandi studi hanno
saputo dare vita a team di lavoro paralleli,
sovente dedicati all’interior design, attra-
verso il trasferimento di un metodo, nato
in ambito architetturale, nel progetto
degli interni e del prodotto. Tuttavia, anche
nella condizione attuale di un “sistema
architettura” globalizzato che ha trasforma-
to gli studi in entità evolute (sono oltre
50 le società di progettazione al mondo con
più di 200 professionisti, 20 quelle con
più di 500 persone, 5 superano ampiamente
i 1000 dipendenti7), contraddistinte dalla
presenza di competenze differenti, si assiste
a un fenomeno non prevedibile fi no a
poco tempo fa ovvero la collaborazione di
progettisti dislocati in continenti diversi,
che dialogano in tempo reale su piattaforme
progettuali comuni. Le esperienze e le
professionalità più diverse si integrano
dunque oggi nel progetto d’architettura,
ma non è ancora suffi ciente infatti tale pro-
getto sarà chiamato a confrontarsi sempre
più spesso anche con altre espressioni del-
la creatività: dalle arti fi gurative alla mu-
sica, dalle scienze sociali alla psicologia.
Ecco allora che, proprio nell’epoca della
specializzazione assoluta e della iper-seg-
mentazione delle conoscenze, vogliamo
credere che all’architetto rimarrà l’arduo
quanto stimolante compito di guardare
oltre. Ci auguriamo, per concludere, che
il progettista possa, in un futuro ormai
prossimo, esprimere non solo la capacità di
dare la forma corretta, per citare la celebre
sentenza rogersiana, tanto al cucchiaio quanto
alla città, ma anche guidare e alimentare
trasformazioni e processi di sviluppo capaci
di infl uenzare positivamente la vita
dell’uomo sul pianeta.
1. De architectura (Sull’architettura) è un trattato
in lingua latina scritto da Marco Vitruvio Pollione
intorno al 15 a.C. È l’unico testo sull’architettura
giunto integro dall’antichità e divenne il fondamento
teorico dell dell’architettura occidentale, dal Rina-
scimento fi no alla fi ne del XIX secolo.
2. Ornamento e delitto (titolo originale Ornament
und Verbrechen) è un breve saggio scritto da Adolf
Loos nel 1908. Fu ripubblicato in tedesco in una
raccolta del 1962, poi tradotta in italiano nel 1972 da
Adelphi con il titolo Parole nel vuoto.
3. Nato dal sostantivo anglosassone contract, che
signifi ca letteralmente “contratto-appalto-accordo”,
il contract è divenuto in breve tempo uno dei settori
trainanti del furniture design. Con il termine contract
si intende, in questo contesto, una fornitura completa
“chiavi in mano”di un insieme di prodotti esistenti
e/o progettati ad hoc in particolare destinati al settore
alberghiero.
4. L’Osservatorio di Oxford Economics prevede
inoltre una crescita da qui al 2025 del mercato mon-
diale delle costruzioni, intorno al 70%.
5. Il termine open space (letteralmente “spazio
aperto”) indicava originariamente una confi gurazione
di spazi di lavoro non frammentati in piccoli ambienti,
ma unitari. Questo schema,ampiamente condiviso
a partire dalla metà degli anni ‘50, è stato da tempo
messo in discussione. Parallelamente però il termine
ha trovato un nuovo impiego nell’interior design ad
indicare una planimetria in cui le tradizionali suddivi-
sioni funzionali non fossero rispettate.
6. Secondo i risultati dell’ultimo QS (Quacquarelli
Symonds) World University Rankings, 2017, nella top
ten delle migliori università al mondo: Massachusetts
Institute of Technology (MIT); The Bartlett School of
Architecture (UCL University College London);
Delft University of Technology Netherlands; Universi-
ty of California, Berkeley (UCB); ETH Zurich (Swiss
Federal Institute of Technology), Manchester School
of Architecture; Harvard University United States;
University of Cambridge; National University of
Singapore (NUS); University of Hong Kong (HKU).
7. Società di progettazione al mondo con più
di 1000 dipendenti: Aecom USA, 1.370 architetti;
Gensler USA, 1.346; IBI Group Canada, 1.129;
Nikken Sekkei Japan, 1.109; Aedas, China/UK, 1.078.
L’architettura, oltre i formalismi,
verso la condivisione.
A cura di Rimadesio