“SEDIA. È la regina dell’architettura
moderna. Unica struttura su cui si è
compiutamente realizzata la rivoluzione
del Movimento Moderno. Tutti i Grandi
l’hanno disegnata, e forse sono diventati
grandi proprio per questo. È una mini-
struttura abitabile, ed è l’ipotesi di una
diversa forma di tutto l’universo costruito.
[…]”
“IMBOTTITI. Sulle poltrone si gioca,
nello spessore delle piume o delle
schiume, il modello di società che è
possibile alternare. Comoda, rilassata,
anche troppo disinvolta; oppure
composta, attenta, sempre disposta ad
alzarsi. In pochi centimetri di imbottitura,
la scelta di fondo di chi progetta.
Anche la poltrona scomoda può avere una
sua ragione d’essere. Anche una poltrona
grottesca. […]”1
Le due citazioni d’apertura spettano
ad Andrea Branzi e Denis Santachiara
e risalgono al 1980. Quell’anno la rivista
«Domus» compiva una ricognizione
critica su quanto andava accadendo nel
settore produttivo del mobile e
Alessandro Mendini aveva incaricato i due
designers di individuare e commentare
alcuni elementi dell’arredo moderno sui
quali progettazione e produzione avevano
operato mutamenti sostanziali negli ultimi
decenni. Le definizioni di sedia e
imbottito riportate, ci sono apparse
importanti perché restituiscono,
con buona approssimazione, i termini di
un dibattito sviluppatosi negli anni
precedenti riguardo a forma e funzione di
due oggetti che il design dell’epoca aveva
messo al centro della trasformazione di
un mondo, quello dell’abitare
contemporaneo, che appartiene a pieno
titolo alla storia che vogliamo raccontare.
La storia è quella dell’azienda Moroso
che da sessant’anni opera nel settore
produttivo degli imbottiti e delle sedute
per l’arredo intrecciando la propria
vicenda individuale con quella del design
nazionale ed internazionale. Ma se di un
racconto si tratta è dal principio che si
deve partire e all’inizio c’è il capostipite:
Agostino Moroso, uno dei protagonisti
principali di questa narrazione.
È lui a fondare nel 1952 a Tricesimo,
a pochi chilometri da Udine, il laboratorio
destinato a diventare il nucleo costituente
dell’azienda che oggi conosciamo. Ad
affiancarlo nell’impresa ci sono Diana,
compagna di vita e di lavoro e un gruppo
di amici fidati tra cui Marino Mansutti che
di Diana è il fratello, noto oggi come
“l’uomo dei prototipi” per le sue
preziosissime abilità tecniche e manuali,
personaggio centrale in questo racconto,
capace di “dare corpo” e forma alla
creatività di tutti i designers che negli
anni hanno collaborato con l’azienda2.
La figura di imprenditore – artigiano
incarnata da Agostino Moroso
rappresenta il fulcro non solo della
vicenda che stiamo ricostruendo, ma
anche di quello che in generale costituiva
il tessuto produttivo e industriale italiano
nell’immediato secondo dopoguerra3.
“Fare” e “fare bene” era l’imperativo di
quegli anni difficili, ma pieni di speranza
nel futuro e tale era anche la convinzione
di Agostino Moroso e dei suoi compagni
di viaggio che avevano rinunciato
a trasferirsi in America per inseguire il
sogno tutto nostrano di una ricostruzione
“Dare corpo alle idee per creare un mondo”*:
percorsi di storia del design attraverso le collezioni
Moroso.
Metamorphosis
018. 019.
Fjord di Patricia Urquiola
Padiglione dei Paesi Nordici ai Giardini de
La Biennale di Venezia, 2003