di Gatti, Paolini, Teodoro per Zanotta ma
soprattutto Up 3 di Gaetano Pesce per
C&B Italia che, confezionata sottovuoto,
riacquistava la forma originale con
l’esposizione all’aria. La forma rimane
trasmigrazione della materia secondo
Luciano Fabro che è il primo a non
rinunciare a concetti di bellezza ed
equilibrio. Nel contempo creare significa
anche ricostruire: il dipingere è sempre
un’azione morale come ribadisce Gerard
Richter nel 1966, e pertanto il luogo
dell’arte sostituisce la filosofia perché
energia attiva, trasformante, di sostegno
della realtà.
Varie istanze pertanto allo scadere del
decennio che vengono tradotte nel 1969
da Harald Szeeman in When Attitudes
Become Form alla Kunsthalle di Berna,
una rassegna che, partendo dall’atto
processuale come metodologia di base,
certifica le nuove esperienze di grado
zero ma soprattutto la ricchezza di
soluzioni e le potenzialità future. In
questo senso l’opera negli anni Settanta
diventa struttura linguistica articolata:
è una nozione nuova di scultura espansa,
che si estende all’installazione ma anche
alla documentazione, all’archivio,
inglobando materiali fotografici, video,
disegni, scritti e performance e che
preclude a tante formulazioni che a
tutt’oggi molti giovani artisti adottano.
In Art and Dialectis del 1970 si ribadiva
che: “Nessun significato particolare può
rimanere a lungo assoluto o ideale.
La dialettica non è soltanto la formula
ideativa della tesi-antitesi-sintesi, sigillata
per sempre dalla mente, ma è uno
sviluppo continuo”. In questo contesto
diventa essenziale il ruolo di artisti
osmotici come Alighiero Boetti, dove il
ruolo della parola e del testo ha statuto
d’opera d’arte in sé, quanto il criterio
di selezione dell’oggetto da trasformare
in conversazione. Gioco combinatorio
per una identità mutante che l’atto
performativo sembra sottolineare,
di continuo: calarsi in involucri multipli
per accorciare le distanze fra arte e vita,
tra testo e contesto. Il segno si sposta
piuttosto che formalizzarlo, transita,
si colloca negli aspetti marginali
recuperandoli al centro di un processo di
significazione che mette in dialogo tutti
gli strati del linguaggio. Vito Acconci,
Barry Le Va attuano queste strategie di
camuffamento, fenomenica quasi in Ana
Mendieta, e di significazione rinnovata
del gesto dell’artista; mentre autori come
Jan Dibbets e William Wegman sembrano
evidenziare in una catalogazione in fieri
la momentanea fissazione di una forma in
potenza. Con il sopraggiungere degli anni
Ottanta e l’affermarsi della riflessione
postmoderna, le formulazioni sono
caratterizzate da un pensiero debole che
apre la forma a mille sfaccettature sia
linguistiche che esegetiche. L’arte trova
nella creatività nomade il proprio
movimento eccellente, la possibilità di
La forma come struttura del possibile: una storia.
Metamorphosis
078. 079.
sacco di Gatti, Paolini, Teodoro,
1969
Vito Acconci, Trawing Ground, 1971