Mi portarono al Carpaccio, perchè in una sua
vetrina, chiamata Il Crepaccio, era esposta
un’opera di Valerio, una ‘Insalata’. Consisteva
di molte striscioline di carta dipinta, disposte
in una ciotola appunto come un’insalata. La
trovai molto adatta al luogo, la vetrina di un
ristorante trasformata in spazio espositivo.
Andammo a vedere altre gallerie. Io e Valerio
non ci scambiammo una parola, però ci scam-
biammo il numero.
La prima volta che ebbi modo di vedere in ma-
niera più approfondita il suo lavoro fu qualche
mese dopo, durante la sua residenza a Viafa-
rini. In un angolo del salone più grande aveva
allestito una serie di progetti in cui a quel mo-
mento stava lavorando. C’erano complesse
strutture di legno e fili a cui aveva apposto
delle sagome di carta, dipinte in modo molto
minuzioso su entrambi i lati, alle due pareti
una serie di disegni e dipinti, sempre su carta,
e poi una struttura formata da scatole che
permetteva a due grosse tele di rimanere ver-
ticali in equilibrio sul pavimento. Vorrei rac-
contarvi più in dettaglio di questa struttura.
Ricordava un paravento, ma composto da due
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Valerio Nicolai
Ho conosciuto Valerio Nicolai perchè ho sbagliato l’uscita della metro. È una storia
vera. Ero a Milano, in Corso Buenos Aires. Ero in ritardo, dovevo andare a un compleanno e per
andarci dovevo prendere il treno. Così andai a prendere la metro. Feci il biglietto, passai i
tornelli e a un certo punto non sapevo più dov’ero. Incredibile, direte. Eppure è così. Fermai
una signora e le dissi che dovevo prendere il treno, e lei mi disse che facevo prima ad andare a
piedi, che la stazione era davvero vicina, che dovevo uscire e girare a sinistra. Così risalii in
strada, girai a destra e subito davanti alle scale incrociai Eva Fabbris, che stava facendo un giro
di gallerie assieme a Valerio. Ci presentò e mi disse che era un pittore bravissimo. Con il senno
di poi, posso dire che aveva davvero ragione. Mi invitò ad unirmi a loro. Non avevo ancora idea
di dove mi trovassi, così accettai molto volentieri. Con il senno di poi, non sono mai stato così
contento di aver saltato un compleanno.
F I N A L I S T
soli moduli, il primo alto due metri e lungo
due e mezzo, mentre l’altro era di lunghezza
più ridotta ma sempre alto sui due metri. La
tela era grezza, se non ricordo male di cotone,
e non trattata. Gli chiesi se quello fosse un di-
pinto che doveva ancora iniziare e lui mi disse
che no, era quasi finito. Cogliendo la mia per-
plessità, mi accompagnò dietro al lavoro e mi
indicò un punto nell’angolo in alto a sinistra,
tra il telaio in legno e la tela. In quella piccola
parte della struttura aveva dipinto una serie
di figure in maniera molto precisa, c’erano ani-
mali, umani e piante che si amalgamavano in
un paesaggio astratto. Aveva anche inserito
una piccola scultura.
Questo intervento mi affascinò molto: quello
che aveva dipinto non avrebbe funzionato su
una tela di 20 x 15 cm, ma aveva totalmente
senso in relazione al resto della struttura, il
suo essere troppo pieno si equilibrava perfet-
tamente con il vuoto delle due grosse tele.
Una struttura per la pittura, tenuta in equili-
brio sul pavimento, ospitava un piccolo inter-
vento pittorico che ne equilibrava l’enorme
vuoto.