come fattore di differenza e come antica
eredità mai rivelata. Quando poi per alcuni
prodotti il venduto industriale di alcune
aziende nel primo decennio del nuovo
secolo si sarebbe assottigliato al punto
da stare nel novero delle decine o delle
dozzine, anche l’alibi dei numeri si sarebbe
ridimensionato e il ruolo dell’artigiano si
sarebbe trovato completamente ristabilito
all’onor del mondo.
Parte 2.
Ecco l’argomento attorno a cui ruotare:
chi fa allora oggi la ricerca? Chi si occupa
della complessità?
I mega-marchi nati col nuovo
secolo hanno avuto altro a cui pensare
e se si sono costituiti è perché volevano
mettere ordine nella complessa voce
“distribuzione” del design, su quel 40%
o 50% che con l’aprirsi del mercato
globale creava particolari problemi o
altrettante occasioni. Non si sono certo
accorpati con il fine di fare della ricerca
product-oriented. L’economia di scala
esigeva che identità e razionalizzazione
costituissero il tema centrale dei nuovi
assetti, ma il tipo di prodotto che
veniva fuori dalla concentrazione dei
marchi era inevitabilmente qualcosa che
aveva il sapore del contract: per grandi
forniture quindi, né bello né brutto,
merceologicamente corretto sì, ma anche
sufficientemente piatto per non creare
imponderabili salti imponendosi così
attraverso una sorta di “indeterminato
di qualità”.
Per sfuggire a tutto questo l’artigianato
era l’unico in grado di proporre ancora
qualità e unicità col suo modo semplice
e flessibile e di fare il just in time a costi
relativamente bassi. Lì ci sarebbe stato lo
spazio anche per l’errore o per il progetto
che non sempre va a buon fine sostenibile
però nella fase della sperimentazione senza
eccessivi investimenti in una situazione di
Part 2.
Here is the topic on which to focus:
who does the research today? Who cares
about complexity?
Mega brands born with the new
Century have had other things to think
about and the reason they were set up was
because they wanted to tidy up the complex
“distribution” aspect of design, at least
the 40% or 50% which with the opening
of the global market created particular
problems or just as many opportunities.
These companies did not have a stake in
performing product-oriented research.
Economies of scale demanded that
branding and rationalisation constitute
the central focus of the new structures,
but the type of product that resulted from
this concentration inevitably had a taste
of mass market: in other words,
commoditized large supplies of the new
economy became sufficiently flavourless
so as not to create any unfeasible leaps,
thus establishing themselves as products
of “undetermined quality”.
In contrast, the craftsman emerged
as the only one able to offer quality and
uniqueness, using simple and flexible
methods, producing just in time at relatively
low costs. There would still be room
for error or failure allowing sustainable
experimentation without excessive
investment in a market opportunity, which
over the last ten years already appeared
rather tricky. The craftsman ended up
becoming the only one capable of taking
bets in the most remote corners of emerging
countries, able to craft the item a first time
and then perhaps repeat it with a minimal
variation thereafter. Or some craftsmen
went the direction of operating within
the context of a single piece at a time in
the “made to measure” sphere, where a
prototype and production piece merged
into a single-production-run specimen,
more often than not with a high degree of
087
Mastery
086
Maestrie