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Mastery
accadeva in Italia nei passaggi intermedi
del prodotto per verificare quanto venisse
effettivamente eseguito dalla macchina
e quanto fosse il contributo di continuo
adattamento e rifinitura qualitativa
compiuti da un operaio specializzato (o
artigiano moderno). Piuttosto il mondo del
design preferiva parlare di progetto, di
cultura del progetto e dei suoi protagonisti/
designer concentrandosi sul livello high
della disciplina e sul contributo culturale
che questa apportava alla società italiana.
In parallelo tratti artigianali di qualità
continuavano a svolgere la loro funzione
imprescindibile nel prodotto e a rendere
possibili tutte le più estreme richieste e
forzature volute dai vari progettisti sotto la
tenda protettiva di una logica cosiddetta
“industriale”.
Tutto questo avrebbe preso una
diversa piega con il giro di boa del XXI
secolo. Nel mondo diventato globale con
la presenza di nuovi attori e di palcoscenici
emergenti la cultura industriale diventava
un fatto oramai universalmente disponibile,
semplificata e appiattita nei suoi aspetti
tecnologici che ora apparivano a portata
di mano per tutte le latitudini del pianeta.
Allo stesso modo la cultura dei designer
in un mondo super-saturo e privo di
vere richieste funzionali (o almeno dove
l’offerta di proposte progettuali superava
la domanda) si assestava su di un progetto
debole in cui l’innovazione era fatta di
continui ma piccolissimi scarti in avanti.
L’uno e l’altro di questi fenomeni aprivano al
design un’autostrada per la semplificazione
ma allo stesso tempo portavano ad un
prodotto diffuso dalla preoccupante
omogeneità. Ciò che invece sembrava
sottrarsi a tutto questo era il substrato
artigianale di qualità che permaneva nella
lavorazione industriale. Lì la differenza
l’avrebbe potuta continuare a fare
soprattutto lui, l’artigiano, col suo apporto
di ricette ancora semi-nascoste e di sprazzi
di manualità che ora tornavano in gioco
craftsman). The design world for their
part focused on the planning phase, the
design culture and its leading players – the
designers - emphasizing the added value
provided by this discipline to the cultural
world. Meanwhile, quality craftsmanship
continued to play an essential role in the
product, satisfying all the most extreme
demands and excesses sought by various
designers under the protective banner of
a so-called “industrial” logic.
All this took a different direction at
the turn of the 21st Century. In a world that
had become global with the presence of
new players and emerging markets, the
industrial culture became a now universally
available given, one that was simplified
and extended in its technological aspects,
which now appeared within reach of all
latitudes of the planet. Similarly, the culture
of designers in a super-saturated world
devoid of genuine functional needs (or at
least where the supply of project proposals
exceeded the demand) became a weak
proposition, and innovation was continuous
yet in tiny leaps forward.
Both these phenomena opened up
design to an avenue of simplification yet at
the same time led to products afflicted by
an alarming homogeneity. What seemed to
escape all this was in fact the underlying
quality craftsmanship which remained
a feature of industrial processing. Here,
the craftsman in person might still have
been able to make a difference, thanks
to his contribution of as yet semi-hidden
recipes and flashes of dexterity that now
came into play as something that made the
difference and as an ancient heritage never
revealed beforehand. Subsequently during
the first decade of the new century, when
the industrial turnover for certain products
thinned out to the point of barely remaining,
even the alibi of figures had to be resized
and the role of the craftsman was restored
to the honour of the world.
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Maestrie