022
023
30 years
of Havana
Foscarini
— Design stories.
miei desideri di teenager.
Se volevo una macchina fotografica o
un Hi-Fi per ascoltare la musica, dovevo
lavorare per raccogliere soldi e potevo
impiegarci molti mesi o alcuni anni.
Ma nel frattempo facevo ricerca.
Cercavo di capire qual era il modello
migliore, quello che aveva più qualità e
che tecnicamente era più innovativo.
Fare ricerca era una cosa che mi piaceva
molto. Mentre risparmiavo andavo ogni
weekend nei negozi a “terrorizzare”
gli addetti facendo mille domande
sulle tecnologie, sui materiali, sulle
performance e raccoglievo tantissimi
cataloghi e materiali informativi che
studiavo nella mia camera.
Ma mentre li studiavo attentamente
mi accorgevo che c’erano delle
caratteristiche migliori su alcuni prodotti
e altre migliori su altri prodotti.
Quindi, quasi per divertimento, a un
certo punto ho iniziato a progettare il
mio Hi-Fi ideale, che aveva tutte le parti
migliori che trovavo in vari prodotti e
che avevo scoperto facendo le ricerche.
Questa attività era la cosa che mi
piaceva di più, anche più di riuscire a
comprare il nuovo oggetto dei desideri.
Potevo così immaginare di creare
l’oggetto perfetto.
All’inizio decisi di studiare
architettura, perché volevo realizzare il
grattacielo più alto del mondo e pensavo
che fosse l’unica vera professione
creativa e tridimensionale che poteva
permettere di guadagnare soldi, senza
invece rimanere un “povero artista”
come i miei genitori.
Decisi che dovevo diventare architetto
e provai ad entrare alla Rhode Island
School of Design che era, ed è,
considerata l’Harvard delle School
of Arts, ed era molto difficile essere
ammessi.
Sono riuscito ad iscrivermi al primo anno
propedeutico di Freshman Foundation,
dopodiché al secondo anno si sceglieva
la materia che si preferiva.
Alla fine del primo anno la scuola
organizzò una serie di presentazioni
di tutti i dipartimenti sulle varie materie
in cui proseguire gli studi.
Oltre all’architettura venivano presentate
le altre discipline, come la grafica, la
tipografia, la fotografia, l’artigianato
della ceramica o del vetro, ma era il
periodo degli esami del primo anno
quindi dovevo decidere se stare a
studiare o seguire tutte le presentazioni.
Volevo vederne più possibile ma dovevo
anche studiare.
Durante una pausa decisi di andarmene
ma mentre uscivo una voce annunciava
la presentazione dei corsi in Industrial
Design. Ero già sulla porta e mi chiesi:
but what the hell is industrial design?
E quindi tornai al mio posto per sentire
anche il discorso successivo.
Uscì a parlare John Behringer che
era il direttore del dipartimento e che
esordì proprio dicendo che spesso
gli chiedevano: but what the hell is
industrial design?
E fece un esempio che fu per me una
rivelazione. Disse che il modo migliore
di capire cos’era il disegno industriale
era di immaginare un grande tavolo
per conferenze, pieno di centinaia
di elementi sul piano, come fosse la
superfice degli Stati Uniti.
Se si inclina questo grande tavolo
sollevandolo dalla East coast, tutto
quello che scivola giù nella West
coast, nell’oceano Pacifico davanti alla
California, tutti quegli oggetti sono
industrial design.
Mentre tutto quello che rimane fisso,
quella è architettura.
Questa metafora di intendere l’industrial
design fu per me una illuminazione,
perché avevo capito che io da quando
ero bambino, da ormai 10 anni, facevo
proprio quello, e quindi abbandonai
l’idea dell’architettura per dedicarmi
al disegno industriale.”