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30 years
of Havana
Foscarini
— Design stories.
successo è che in quel periodo il
contemporary light design aveva un
aspetto molto freddo, fatto con materiali
metallici, forme rigide, colori scuri,
lampade alogene abbaglianti, mentre
io volevo fare una cosa più “calda”
visivamente ed emotivamente, che dava
un maggior senso di “umanesimo”.
Inoltre la lampada Havana, avendo
una dimensione importante con una
scala di dimensione umana, che cerca
un rapporto con il corpo, quando è
installata singolarmente è un oggetto
iconico che può diventare un center
piece di una camera, mentre se si
trova in multipli diventa un elemento
architettonico, come delle colonne
che determinano un ritmo e uno spazio
luminoso.”
C’è stato qualche riferimento per
disegnare l’iconica forma di Havana?
JF: “Io sono un po’ un futurista.
Sono cresciuto molto ispirato dalla
fantascienza, dalla tecnologia, dal futuro
- future fact e non solo future fiction.
Il mio immaginario da giovane è
cresciuto con la Star Trek generation
e poi Star Wars, ma soprattutto quando
ero un bambino seguivo il cartoon
The Jetsons, dove le persone vivevano
nel futuro e viaggiavano con macchine
volanti. Quegli anni, chiamati Jet Age,
furono molto influenzati da come
si osservava il cielo, le stelle e le
missioni spaziali.
La forma di Havana deriva proprio da
come si osserva una fonte luminosa
nello spazio, per cui quando si vede
una stella o una galassia, la si vede in
una forma luminosa, radiante e allungata
fatta di luce calda.”
Perché il corpo del paralume è fatto
in sezioni separate?
JF: “Fin dall’inizio in tutti i disegni
comparivano queste linee di sezione,
da cui volevo che la luce potesse uscire
anche direttamente con dei raggi,
come sottilissime lame orizzontali.
Feci molti disegni calcolando il numero
ideale di parti e infine, per ottimizzare
la produzione abbiamo optato per una
forma a quattro sezioni. Così si poteva
produrre tutto con uno stampo unico,
usato due volte, prima per la parte
superiore e poi per la parte inferiore,
che è fatta degli stessi componenti
capovolti. L’intero corpo è molto leggero
e le singole parti tronco coniche, che
compongono la forma verticale allungata
che ha una curvatura gentile, sono tutte
sospese dall’alto, giuntate e sorrette da
sottili semicerchi di filo metallico.
Questi elementi si vedono esternamente
ma internamente non ci sono,
aumentando l’effetto di sospensione.”
Dopo 30 anni di produzione, quali
nuove considerazioni su questo progetto?
JF: “Penso sia un prodotto ancora
molto attuale. È un oggetto senza
tempo perché viene da quelle visioni
di un futuro molto lontano, partito da
un’idea romantica e che oggi transita
in una nuova idea molto più complessa
di futuro, caratterizzata dalle nuove
scoperte scientifiche come per
esempio quelle che la NASA ci mostra
continuamente con l’Hubble Space
Telescope. Questo oggetto rimane un
“messaggio dal futuro” verso cui stiamo
ancora andando, oggi forse molto più
velocemente che 30 anni fa.”
Come si è sviluppato il progetto?
JF: “Il primo prototipo era stato
realizzato in vetroresina e produceva
una luce molto calda, gialla e vibrante,
data dalla tessitura del materiale.
La decisione sulla materia da utilizzare
fu un momento interessante e anche
critico. Foscarini allora faceva solo
lampade in vetro di Murano e l’azienda
era ancora molto identificata in questo
materiale bellissimo e incredibile ma
anche molto delicato e prezioso.
La principale preoccupazione era
data dal fatto che essendo un oggetto
molto grande, potesse risultare troppo
pesante, molto fragile, difficile da
spedire e quindi troppo costoso.
Quindi pensammo di provare l’uso delle
materie plastiche e io che venivo dal
mondo dell’industrial design ero molto
preparato per questo tipo di sviluppo.
Era un po’ un rischio ma Foscarini, che
si dimostrò molto coraggiosa, decise di
azzardare questa novità assoluta.
Quindi Havana fu la prima lampada in
materiale plastico fatta da Foscarini.
In fondo la tecnica usata all’inizio per lo
stampaggio della plastica era chiamata
“blow molding” ed era una modalità
vicina alla cultura del vetro soffiato,
inoltre il costo di produzione non si
discostava molto dai budget previsti.
Venne utilizzato il polietilene, che è un
materiale democratico, usato per un
oggetto premium. L’altra componente
importante da sviluppare fu la base, per
cui disegnai degli elementi a croce molto
semplici, con dei profili inferiori arcuati
che determinano i punti di appoggio.”
Qualche ricordo dei primi mesi in
cui venne prodotta e promossa?
JF: “Dopo la messa in produzione
e il lancio sul mercato, ricordo che la
prima volta la vidi pubblicata su un
articolo di Interni. Ero molto contento
e andavo in giro per Milano a cercarla
negli showroom, facendo finta di essere
un cliente qualsiasi che chiedeva questo
nuovo prodotto di Foscarini che si
vedeva sulle riviste. Volevo vedere come
era considerata dai venditori.
Una volta rimasi molto deluso (sorride,
ndr) perché in un negozio, in cui
ovviamente avevano prodotti Foscarini
ma non ancora Havana, l’addetto mi
disse che conosceva il prodotto ma
che era un po’ “particolare”.
Forse non divenne subito un successo
commerciale ma dopo pochi anni diventò
un prodotto importante per il catalogo
dell’azienda e oggi, dopo 30 anni,
è ancora in produzione.”
Ci furono momenti più significativi?
JF: “Un momento importante, che
mi diede una grande soddisfazione come
designer, fu quando nel 1995 venne
inserita nella mostra “Mutant Materials
in Contemporary Design”, curata da
Paola Antonelli al MoMA di New York.
All’ingresso della mostra, nella prima
grande sala, c’era una sezione con degli
oggetti nuovi in materiale plastico e
Havana era proprio al centro di questo
primo spazio.
Alla fine della mostra Havana entrò
anche nella collezione permanente del
Museo.”
Quali furono i motivi del successo?
JF: “Ho sempre ritenuto che
il motivo per cui Havana ha avuto