DANZA CITTÀ
Bologna 2007
VALE & TINO
San Benedetto del Tronto 2007
PIANTALA
Mirafiori, Torino 2009
Si sa: un “post”, un “neo”, un “iper”, un “meta”, un
“trans”, un “super”, un “pulp”, oggi non si negano
più a nessuno. Come una volta il sigaro toscano
e la croce di cavaliere. Che cos’è la televisione? È
post-televisione, rispondono i Pensatori di oggi.
Che cos’è l’erotismo? È neo-erotismo. Che cos’è la
letteratura? È meta-letteratura, Che cos’è la realtà?
È iperrealtà, Che cos’è una banana? Semplice: una
trans-banana. E via così, coi prefissi che attaccano
tutto ma non significano niente. Allora, l’arte
contemporanea è un mirabolante niente? “ Oh, che
il Niente sia troppo!”, auspicava Baltasar Gracian,
prevedendo forse il divenire universale di Internet.
Voi non amate il Niente? È un vostro problema di
arte-riosclerosi, l’arte contemporanea, si sa, non è
un’entità concreta, afferrabile: il suo territorio non
è definito da un significato che ne fissa i confini,
ha una sua complessa friabilità che ne sfuma i
contorni. E allora, in un mondo dove niente è
vero e tutto è verosimile, bisogna trattare il male
con il male, la virtù con il virtuale, la bellezza
con la monnezza, con un sospiro di leggerezza.
È quello che fa Marco Lodola. Il suo “marchio di
riconoscimento” è rappresentato dalla plastica.
Questa anonima e ributtante sostanza organica
ad alto peso molecolare, misero sottoprodotto del
petrolio, robaccia per meno abbienti amanti del
cattivo gusto, è il “corpo” artistico di Lodola. Con
la sua presenza fredda e distaccata - materiale così
flessibile e leggero da divenire quasi “immateriale”-
la plastica cancella ogni profondità psicologica e le
opere dell’artista diventano la celebrazione della
superficie.
Ecco l’unico sentimento che sembra governare
l’opera di Lodola è uno splendido, tragico
superficialismo, con una intenzionale e naturale
assenza di un giudizio di valore: come porre lo
smalto sul nulla.
Non a caso la plastica garantisce la riproduzione
di tutto (dall’orologino Swatch in su), ma anche la
celebrazione dell’oggetto. Ma la situazione è ormai
invertita; ora è l’oggetto che dà la caccia al soggetto;
è la copia che scaccia l’originale; è la riproduzione
del fatto che prevale sul fatto. Un’inversione dei
ruoli, quindi: la materia e il fine, l’uomo il mezzo.
Nelle opere dell’artista c’è l’uomo-sagoma, regresso
allo stadio infantile di figurina, che diventa ombra
di se stesso, produzione di ciò che produce, oggetto
fatto in serie. In definitiva l’individuo ripetuto in
uomo-massa, in uomo moltiplicato, portato dal
sistema in una condizione di esistenza plastificata.
Alla carne, opacizzata dal logorio della vita
moderna, subentra il perspex smaltato, il neon, la
cui liscia e trasparente materialità comporta non
più angoscia esistenziale ma il raggiungimento
di una stato di indifferenza che diventa l’ottica
attraverso cui Lodola guarda il mondo.
Roberto D’Agostino
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