Nel 1980 il sovrano dell’Arabia Saudita affidava la realizzazione della nuova reggia
nella città di Taif ad un importante studio di arredatori parigini. Furono i progettisti
francesi a contattare Barovier&Toso per il disegno e la fornitura di una serie di
grandi lampadari da collocare nel palazzo reale.
La prospettiva di inserire un lampadario veneziano in un contesto governato dal gusto
francese suggerì ad Angelo Barovier&Toso di ripensare l’immagine della tradizione muranese.
Per armonizzare il disegno alla scena, Barovier&Toso doveva liberare uno spazio per inserire
elementi originali e diversi, salvaguardando al contempo l’essenza del linguaggio veneziano.
Prende così forma un procedimento di sottrazione e di sostituzione, di semplificazione
e di arricchimento. L’identità del disegno è affidata ai profili dei bracci del lampadario, le cui
curve sono definite da una gabbia metallica portante su cui sono inferiti gli elementi in vetro.
Abolito il consueto corredo di foglie e di fiori, il tradizionale partito decorativo è limitato
ai soli ‘pastorali’, elementi ritorti di grandi dimensioni. Una sostanziale semplificazione resa
ancor più evidente dalla rinuncia alla policromia, sostituita da una sobria composizione
monocroma. È questa preventiva depurazione del modello muranese a rendere possibile
l’introduzione di elementi formalmente eterodossi, che tradiscono l’archetipo del lampadario
veneziano e restituiscono brillantezza all’insieme: i pendagli in cristallo di Boemia e le inusuali
candele portalampade in lucido acciaio cromato. Una scelta decorativa esaltata pochi anni
più tardi quando, per l’Hotel Hyatt di Seul, Barovier&Toso propongono una scenografica
versione del lampadario in nero integrale: per quanto presente nella tradizione veneziana,
mai prima il vetro nero era stato usato come unico colore.
È precisamente nello scarto che il nuovo lampadario Taif impone rispetto ai modelli
tradizionali che si apre la prospettiva del Classico: preservato tutto il valore e la qualità
formale del vetro muranese, la capacità di accogliere nuovi linguaggi sottrae Taif dal
magazzino della memoria. Né replica né invenzione, Taif condensa in una sintesi compiuta
esperienze e materiali diversi, eccedendo il paradigma della storia per approdare all’equilibrio
composto del Classico.
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