inchiostri a figure organiche vegetali per
giungere nel 1959 alle Nature, bolle di
creta che riportano la mano dell’artista a
impastare un volume che è ancora quello
primario del corpo germinale, del seme,
del feto. Ma la questione negli anni
Cinquanta è anche un’altra: la forma
metamorfica può anche rappresentare
un cambiamento di stato, oltre che
di struttura? Il mutamento è interamente
linguistico secondo la lettura
strutturalista che ne farà Neo-Dada
o possiede quella matrice alchemica tanto
cara a Marcel Duchamp, che preserva
l’incanto dell’immagine? Anche se in
questa accezione si avranno in seguito
esiti di interesse, in artisti quali Gino De
Dominicis e James Lee Byars, la questione
riguarda la natura dell’oggetto artistico e
la responsabilità dell’autore nel definirlo
come tale. È indubbio che negli stessi
anni Marcel Duchamp postuli attraverso
il calco (anche qui come in Ovidio),
la transustanziazione del ready-made
e ne palesi il lato erotico e seduttivo,
non alieno da una fruibilità estetica.
Lo stesso George Kubler nel volume The
Shape of Time del 1961, intonava un
concetto che agiva come un acido sulla
fredda superficie fine a se stessa, quella
della desiderabilità dell’oggetto e della
sua appetibilità fenomenica da parte
dell’artista, che ne rivela tutta la sua
ambiguità di fondo. Louise Bourgeois,
Yayoi Kusama e in seguito Eva Hesse,
sembrano non essere insensibili a questa
valenza, che si carica di desiderio e
pathos con chiare ascendenze feticistiche
care a Bataille. È pur vero che una
corrente ancora carsica, legata al
sentimento del luogo creato dal lavoro,
il materiale, il suo vissuto, sono segnati
per destino a destituire i dogmi della
serialità programmata dell’arte minimal
che si sta affermando. “In fondo il cubo
elementare di LeWitt è proiettato in una
magnitudine inerte. Queste progressioni
non portano l’occhio ad alcuna
conclusione. L’alto livello
dell’organizzazione strutturale sposta
‘il punto di vista’ personale. Si guarda
attraverso le sue griglie scheletriche, non
verso di loro. L’intera concezione si basa
sull’aritmetica semplice, eppure il
risultato è matematicamente complesso.
L’ordine estremo produce disordine
estremo. La frazione fra ordine e
disordine è contingente. Ogni passo
attorno al suo lavoro produce inaspettate
intersezioni d’infinito” dichiara il
comunicato della mostra 10 alla Dwan
Gallery di New York nell’ ottobre 1966.
Tra i lavori in fiberglass di Bruce Nauman
del 1965, Untitled conferma questa
riflessione sul sentire della forma, propria
della prassi scultorea: una forma allungata
come un baccello, astratta, concava,
eseguita con fiberglass colato in stampi
costruiti con argilla e gesso con la tecnica
del calco. La forma è divisa in due metà,
uscite dallo stesso stampo e avvicinate,
una gialla e l’altra verde, è appoggiata
contro il muro a formare una continuità
parete-pavimento e un interno / esterno,
una parte concava ed una convessa.
La tecnica del calco, stressa la norma
La forma come struttura del possibile: una storia.
Metamorphosis
070. 071.
Robert Morris, senza titolo, 1964
Sol LeWitt, open Cube, 1968