“L’attuale non è ciò che noi siamo, ma
piuttosto ciò che diveniamo, ciò che
stiamo diventando, ossia l’Altro, il nostro
divenir-altro. Il presente, al contrario,
è ciò che siamo e proprio per questo, ciò
che già cessiamo di essere”.
Felix_Guattari, 1996
Nell’enumerare il grandioso ciclo della
creazione fisica e del legame profondo fra
ogni forma di vita, le decine e decine di
storie mitiche che articolano le
Metamorfosi di Ovidio rielaborano
un’antica visione filosofica secondo cui la
vita non muore mai ma migra da uno stato
all’altro. Come il poeta riporta in un
celebre passo, dove nel calco della cera
persa vede l’imprimere sempre di nuove
figure, la metamorfosi è il principio della
vita organica così come il pulsare
dell’arte. Oggi di certo il concetto evoca
una visione di energia e di movimento
creativi infiniti, funzionale ad un universo
multiplo e connesso, che
incessantemente si rigenera e trasfigura
pressoché senza limite anche attraverso
l’impiego massivo delle tecnologie visive.
La variazione molecolare e incessante
della rappresentazione digitale può infatti
annoverare la scena contemporanea
come l’età dell’immagine metamorfica
per eccellenza. In una realtà
iconograficamente liquida, forse
evoluzione di un pensiero debole che
nella immagine effimera e transeunte
trovava il suo idioma, la forma sembra
scorrere e divenire cangiante per
antonomasia rinverdendo i fasti di una
categoria metastorica barocca che
ciclicamente torna ad essere di grande
attualità. Venendo per gradi, credo che
sia importante dare voce agli artisti
e tracciare una sorta di itinerario della
forma del secolo appena trascorso per
avere un quadro più chiaro della
situazione attuale. Un percorso che parte
dalla riflessione di Georges Bataille
sull’oggetto e di Edmond Husserl sul
metodo conoscitivo e al suo sviluppo,
soprattutto attraverso lo studio
fenomenologico prefigurato da Merleau-
Ponty. La risultante estetica di questo
percorso si configura nel 1996 nella
mostra L’informe: istruzioni per l’uso al
Centre Pompidou: qui avviene la sua
definitivo affermazione, e l’opera d’arte
non finita viene riconosciuta quale
deposito dal massimo potenziale
e involucro non assoggettato al potere
del bello.
Nel ripercorrere questa storia, ritengo
che la difficoltà non sia quella di stabilire
o meno l’attualità della categoria
metamorfica, quanto semmai raffreddarla
cercando di evidenziare le linee strutturali
della costituzione di un diverso concetto
di forma rispondente a nuovi parametri
tecnologici e culturali. Siamo di certo
agli antipodi dell’idealismo di stampo
crociano con la modulazione cangiante
delle opere, sintomo di un rapporto
dialettico e vitale dell’artista con la
propria realtà, ma è indubbio che ci
troviamo dinanzi, ad un’ulteriore impasse,
a problematica stringente: la
manipolazione della realtà e l’egemonia
del virtuale conducono ad una esperienza
rilavorata, rianimata, di certo restituita a
noi come immediata, spirituale, assoluta,
ma nel concreto falso-fenomenologica.
La forma come struttura del possibile: una storia.
Alighiero Boetti,
millenovecentosettanta, 1970
Metamorphosis
066. 067.