“Certo deve esserci un bel po’ di Magia
al mondo”, disse una volta con aria saggia.
“Ma la gente non sa come realizzarla.
Forse un buon inizio è semplicemente dire
che succederanno delle belle cose, fino
al momento in cui si riesce davvero a farle
accadere.” (parole di Colin Craven,
da il giardino segreto di Frances Hodgson
Burnett)
Ed ecco che con il talento di Marco
Viola, progettista visionario, e con
l’amore di Patrizia Moroso per la storia
più nascosta della propria azienda,
-dalla nascita delle idee fino alle idee
realizzate-, ne è nata una parte della
mostra visibile in Casa Cavazzini, che è
anche un po’ il romantico backstage di
ciò che non si guarda mai. L’occhio della
visione laterale. La nobile questione
dell’errare per il mondo, procedendo
anche per errori. Cambiamenti. Varianti.
Aggiustamenti.
Nulla di più moderno si aggira nel
concetto di quest’attraente metamorfosi
alata in mezzo alle montagne del design.
“Patrizia vuole andare più in là”,
mi raccontò un giorno Alberto Gortani,
il direttore generale presente in questa
storia dal 3 marzo 1983, insieme a Marco
Cappellin, direttore commerciale del
settore estero, “e se andare più in là
significa dover capire fino a che punto si
arriva, bisogna trovare un equilibrio.”
Ricordo che quella lunga conversazione
si espanse dentro la filosofia. A un certo
punto il direttore generale puntualizzò:
“La perfezione, mi spiegavano, sta
nell’equilibrio tra l’ordine e il caos. E nel
riuscire a gestire questi due elementi,
-il magma iniziale da cui tutto nasce
e il cristallo dove tutto è bloccato-, c’è
la vita.”
“Sono veramente convinto”, aggiunse,
“che è lì che nascono creatività e
innovazione. Le cose che funzionano.”
“Nel caos c’è anche la follia, ma la follia
gestita”, ed è qui che l’ingegnere lasciò
il suo sorriso migliore, “la follia gestita”,
rimarcò, “genera il progetto vincente.”
È la questione della “linea che si
mantiene”. Il coraggio di Diana e Agostino
è di aver iniziato quella linea che ora
Patrizia e Roberto traducono, con lo
stesso entusiasmo, in coraggio di provare
nuove strade, prima di arrivare al
successo del prototipo giusto.
Che poi diventa prodotto, realizzato con
il massimo della qualità, grazie all’abilità
artigianale del “fare con le mani”.
Che poi viene tradotto in successo
economico. (A volte anche copiato, male,
dagli altri, purtroppo). Che i media
accolgono volentieri tra le parole.
Lo vivono già, nelle città che contano,
il marchio Moroso che anticipa le mode.
È l’affascinante questione di entrare in
un platonico mondo, -quelle idee
meravigliose del mondo possibile che
raccontano la “tua idea di casa”- da parte
della coraggiosa visione di Patrizia e di
tutto il suo team aziendale. Anche quello
della produzione, sarte comprese
(il mio saluto a tutte).
“Faremo così e verrà fuori un posto
dove vivere, abbastanza divertente,
sganciato e distaccato, dove ci sarà meno
spazio per le nevrosi e più spazio per
stare sdraiati a leggere Ian Fleming
facendo grandi gesti che non descrivo,
per stare sdraiati a fumare, per ascoltare
canzoni, mandole, liuti e chitarre,
per mettere fiori nei vasi, per partire e
andare a Kabul a trovare gli amici… a San
Francisco a passare la notte sulle spiagge e
andarsene quando viene la nebbia dal
mare… più tempo per togliersi e mettersi
il maglione e stare a chiacchierare.”
(Ettore Sottsass)
Metamorphosis
052. 053.
Backstage, Hangar Bicocca MIlano, 2012
allestimento di Marco Viola
e Patrizia Moroso
Common ground, storia di una linea che si mantiene.