Premio Moroso 2010, l’artista-designer di
Merano, con un passato a Vienna e a
Londra al Royal College, che per Moroso
si è inventato un’installazione che
metamorfizza i prodotti più “esclusivi” del
catalogo.
Ci riferiamo ad esempio agli intoccabili
di Patricia Urquiola, Alfredo Häberli e
Toshiyuki Kita (autore dell’indimenticabile
Saruyama), a quelle sottili forme
dinamiche di Massimo Iosa Ghini, alle
creature solenni di Ron Arad, non a caso
il maestro di Gamper a Londra, che
l’artista, novello Maestro Geppetto con
il brio di Pinocchio, ha giocato a
trasformare. Come dice Gamper: “Il
problema di non poter toccare un pezzo
firmato da un noto designer è tipicamente
italiano. Sono prodotti questi pensati per
l’industria, non sono pezzi unici, e io li
metamorfizzo. Ripercorro al contrario
il processo creativo e li rifaccio uscire
dalla fabbrica.”
“La fabbrica per me è un luogo
romantico”, racconta Patrizia Moroso una
mattina a un giornalista di Elle Decor,
mentre il virtuoso “falegname” Gamper
sega, taglia, cesella, ricostruisce,
trasforma (e a volte si stupisce di sé),
mentre io mi aggiro da sola per gli spazi
dei magazzini, nelle retrovie. Sono passati
5 anni dal mio primo incontro con questi
luoghi, e per me c’è pure di mezzo la
nascita di una figlia: la mia. Sono passati
5 anni dal mio incontro ai Prototipi con
lo zio Marino, alias Marino Mansutti,
il fratello di Diana, il cognato di Agostino,
fondatore di tutta questa bella storia
imprenditoriale. “Ho promesso a mio
padre che sarei sempre stato vicino a mia
sorella”, ti confida, anzi ti sussurra Marino
Mansutti, quasi a vergognarsi di non aver
vissuto una vita diversa. Forse una
carriera da musicista. “Ho cominciato
a lavorare a undici anni, io che volevo
andare a scuola.” A Marino si devono tutti
i prototipi dei prodotti di design che
hanno reso la Moroso tra le aziende
innovative più famose al mondo.
Ron Arad lo definisce “il Michelangelo
del poliuretano”. E Martino Gamper,
con accento anglo-teutonico, si associa.
Se ne sta da anni lui, Marino, con
il camice blu, silenzioso e attento,
con l’aiutante Pippo, in questa zona quasi
segreta all’interno della fabbrica.
Metamorphosis
048. 049.
Ron Arad, disegno
per Big Easy
The Matador, 1952
al piano Marino Mansutti
Wavy di Ron Arad, 2007
Common ground, storia di una linea che si mantiene.