“La mia teoria è questa: ogni cosa a
seconda dell’origine che ha, ha una storia
piuttosto che un’altra. È chiaro che a
seconda delle persone che incontri,
la storia si trasforma, implementando e
prendendo energia. A me sembra che nella
nostra ci sia una linea che si mantiene e
che un po’ nasce quando nasce l’azienda.”
Questo è il pensiero di Patrizia
Moroso, art director dell’omonima
azienda di famiglia, situata dal 1952 a
Tricesimo e dal 1960 a Cavalicco,
entrambi in provincia di Udine, Italia.
Moroso: l’azienda di fama internazionale,
leader nel settore degli imbottiti e dei
complementi d’arredo. A dirla così suona
impersonale e il mio esordio un
comunicato stampa. Eppure si comincia
da qui perché siamo nel primo catalogo
di un nuovo museo e scripta manent.
Dunque bisogna essere chiari.
Quello che vola qui dentro invece,
sopra le cose, e che è bellissimo starci
leggeri nella storia dei Moroso ed essere
catturati dalla loro onda brillante,
come un colpo di brezza dentro il panno
meteorologico della calura d’agosto.
Agostino, Diana, Roberto, Patrizia.
Zio Marino. Alberto Gortani. Marco
Cappellin e Ennio Macor. I 140
dipendenti, tutti, che si muovono con
amore e dedizione in via Nazionale 60.
La loro è un’avventura imprenditoriale
che fa bene alla pelle non solo di noi
italiani, ma a tutto il mondo che gira
intorno agli idealisti, -ai coraggiosi-, a chi
ha usato l’occhio nascosto di una visione
futura per poi realizzarla. È un patchwork
di sentimenti e prassi questo universo
Moroso e tutto ciò che gli sta intorno.
È davvero sano comprendere che
si possono fondare i mondi che più ci
piacciono e vederli vivere grazie al nostro
moto, anche in tempi difficili come
questi. Niente lamentele. Siamo all’inizio
del nuovo museo Casa Cavazzini. E allora
ben vengano gli sguardi dall’alto per
“proteggere la bellezza dalla polvere”,
come direbbe Ettore Sottsass, giusto per
avere di lui meno nostalgia.
Io in azienda con “questo mondo”
ci ho vissuto per tre mesi consecutivi
nell’ormai lontano 2007. Era estate, come
questa volta, che coincidenza. Registravo
le loro voci con delle microcassette, altro
che Iphone. Si scherzava sulla faccenda
dell’Avatar; ora già dimenticata
(per fortuna). Quella volta le previsioni di
budget portavano a un notevole aumento
di fatturato, lo scrissi infatti a quel
tempo, cosa che si realizzò. Quest’anno
anche con loro sono costretta a parlare
della crisi, poca cosa ma c’è, l’azienda
è sana, ma il tempo attuale impone le
domande e vuole le soluzioni, perché non
si può far torto alla verità della storia,
specialmente se a scriverne è una
“hobsbawniana” come me. Quella volta,
nel 2007, mi inventai un lungo racconto
sui Moroso davvero volando.
D’altra parte l’energia che si respira
là dentro è contagiosa. C’è un’esotica
commistione tra creatività pura, mista
all’apparente disordine e un management
tra i più avanzati, misto alla visione del
mercato futuro che provocherebbe
il fallimento immediato a chi, pur esperto,
tenta di rubarne il brevetto.
È il segreto dell’immateriale, la ricetta
della pozione magica. Le cosiddette idee
Moroso 1952-2012. Common ground, storia
di una linea che si mantiene.
Metamorphosis
044. 045.
Erika Pittis, 2009
catalogo stanze, Moroso
In alto, Salotto Diana,
produzione Moroso, anni ‘50