Metamorphosis
“Dare corpo alle idee per creare un mondo”
026. 027.
di estetizzazione dell’oggetto iniziato nel
decennio precedente. Seguendo un
principio affermatosi negli Stati Uniti,
già alla fine degli anni Cinquanta, la forma
del prodotto industriale finiva per
confrontarsi solo con l’ideologia imposta
dal mercato mentre la funzione veniva
trasformata in un semplice accessorio.
I riferimenti morfologici all’avanguardia
costruttivista lasciavano il posto a
ispirazioni metafisiche e surrealiste
che andavano a sovrapporsi all’aspetto
soft delle proposte della Pop Art.
Non mancavano nemmeno i richiami alla
“grazia decorativa delle arti applicate”
d’inizio Novecento, al kitsch e alla
fantascienza combinati in maniera
alchemica nella produzione di manufatti
che fossero espressione dei tempi
nuovi20. Lo stesso atteggiamento
caratterizzava nel 1980 la nascita di
Memphis per iniziativa, ancora una volta,
del vulcanico Ettore Sottsass21. Il risultato
era “una neoavanguardia costruita con
i pezzi dell’empiria quotidiana: fumetti,
cultura pop, decorazione, pubblicità,
audiovisivi, moda, con qualche ricordo
dell’Art déco”22. La cultura progettuale
del taglia-incolla e le operazioni di
bricolage sottese agli oggetti prodotti da
Alchymia e Memphis in quel breve volgere
di anni si inseriva pienamente nel flusso
postmoderno che aveva investito la vita
quotidiana delle persone. I manufatti
realizzati e inseriti in produzione non
facevano parte di alcun progetto globale,
non si coordinavano con l’ambiente
circostante: essi semmai ambivano
a segnare lo spazio come antichi menhir
colorati, carichi di significati simbolici
tradotti nell’ironia delle forme e nel gioco
dei richiami metaforici.
Da lì, ai concetti di sedia e poltrona
di Branzi e Santachiara citati in apertura
il passo è breve. Gli elementi dell’abitare
contemporaneo si erano trasformati nel
corso degli anni in oggetti la cui funzione,
mortificata nei suoi assunti originari,
era diventata soprattutto un modo per
rispecchiare la società di cui erano il
prodotto e con cui ambivano interloquire
senza più l’esigenza di alcuna mediazione.
Nella situazione appena delineata,
un’industria che continuasse a puntare
solo sull’aspetto funzionale della propria
produzione non poteva che entrare in
crisi, cosa che puntualmente avvenne
in Moroso all’inizio degli anni Ottanta.
Fu solo con l’ingresso in azienda
di Patrizia e Roberto Moroso, figli dei
fondatori, e con il rinnovamento
del sistema di gestione affidato a Marco
Cappellin e Alberto Gortani che il quadro
produttivo riprese a funzionare grazie
a scelte, per allora, davvero coraggiose23.
Una parte di esse spetta al settore
creativo, affidato a Patrizia Moroso
in qualità di art director, che era appena
rientrata da Bologna dove aveva studiato
al DAMS. La sua cultura di matrice
umanistica, le conoscenze accumulate
leggendo riviste come «Domus», «Modo»
e «Casabella» che circolavano negli uffici
aziendali, nonché i contatti avviati con
il mondo del disegno industriale coevo
le permisero di intuire che per rilanciare
la produzione
esisteva una
sola strada:
puntare sul
design
d’avanguardia
e sulla ricerca
nel mondo
delle forme.
Con questo
intendimento,
nel 1986 fu lei
ad interpellare
l’amico
Massimo Iosa
Ghini perché
Numero 1 - Dinamic Collection,
1986
A destra Alberto Gortani,
Patrizia Moroso
e Massimo Iosa Ghini, 1987
Dinamic Collection di Massimo Iosa
Ghini, 1986
Disegno di Massimo Iosa Ghini,
1991