Metamorphosis
“Dare corpo alle idee per creare un mondo”
024. 025.
incertezza”14. Sul versante del design tale
atteggiamento si tradusse nella riscoperta
di materiali tradizionali in associazione
con soluzione tecnologiche avveniristiche.
Tali sperimentazioni che si attestarono
a volte su un puro livello teorico
ed utopistico, ebbero però il merito
di sbilanciare la produzione industriale
nel senso di una maggiore estetizzazione
degli oggetti, indirizzandola a modificare
il loro utilizzo più che la loro forma.
Nel loro insieme questi differenti
approcci rappresentavano gli sforzi
compiuti da architetti e designers per
uscire dalle secche del modernismo
razionalista che appariva ormai
decisamente fuori tempo rispetto alle
esigenze della società contemporanea.
Gli sviluppi conseguiti dal design
nazionale negli anni Sessanta trovarono
una loro esplicitazione programmatica
all’interno della grande mostra italy:
The New Domestic Landscape organizzata
da Emilio Ambasz al Museum of Modern
Art di New York nel 197215. La complessità
della situazione veniva ricondotta dal
curatore a tre fondamentali correnti di
pensiero incarnate dai designers
conformisti, da quelli riformisti e da quelli
contestatari, ugualmente vitali nel
panorama italiano di quegli anni16.
Nel loro insieme tali attitudini ebbero
il merito di garantire all’Italia un successo
internazionale che innescò un’evoluzione
importante nell’ambito della creazione
di oggetti per la vita domestica.
Di fatto, all’epoca le collaborazioni tra
industria e designers rimanevano ancora
legate a casi particolari. Poche erano le
manifatture italiane ad essere dotate di
un centro interno per la ricerca stilistica
che riguardasse l’aspetto estetico dei loro
prodotti. La Moroso, che nel corso
degli anni Sessanta aveva assunto
le caratteristiche di una piccola-media
impresa, non sfuggiva a questa logica
diffusa. Fu l’incontro quasi casuale tra
Agostino Moroso e il giovanissimo Antonio
Citterio ad avviare l’azienda sulla strada
di una rinnovata modernizzazione17.
L’occasione fu offerta dal soggiorno
friulano del giovane architetto per
assolvere al servizio di leva: fu l’inizio di
una collaborazione destinata a durare e
a dare i suoi frutti. Dopo aver conseguito
la laurea in architettura al Politecnico
di Milano, nel 1972 Antonio Citterio aveva
fondato, nel capoluogo lombardo,
uno studio di progettazione industriale
insieme a Paolo Nava18. Da allora aveva
avviato con Moroso un rapporto di lavoro
che produsse nel tempo poltrone e divani
in serie, passati in produzione per
l’unione calibrata di funzionalità ed
aspetti estetici in nome di quella qualità a
cui Agostino Moroso aveva sempre mirato.
L’approccio del designer è ancora quello
che Ambasz avrebbe definito conformista:
comodo, funzionale e misurato,
caratteristiche queste che da sole
rendevano “bello” un oggetto, proprio
come si confaceva ad un’azienda che solo
allora cominciava ad aprirsi cautamente
al mercato nazionale. In quel periodo
e dopo la fase sperimentale di matrice
radicale, il design d’avanguardia italiano
si apprestava a vivere la sua stagione più
esaltante. Nel 1976 Alessandro Mendini
insieme a Ettore Sottsass, Andrea Branzi
e Alessandro Guerriero fondava a Milano
lo Studio Alchymia, un laboratorio di idee
applicate alla produzione in piccole serie
di oggetti per l’arredo con criteri di tipo
industriale19. Il gesto era importante
poiché da un lato apriva la strada alla
definitiva affermazione dell’autonomia del
designer dai processi produttivi industriali
e dall’altro sanciva il definitivo divorzio
tra cultura architettonica e disegno
industriale. Quest’ultimo si spostava
invece verso la sfera delle arti visive
portando a termine un processo
Divano onda di Citterio e Nava,
1968
Divano America, 1974
Antonio Citterio e Paolo Nava
in azienda con Agostino Moroso,
1972