Roberto Fassone
“As for my not letting people in on the joke, there are times when real life is funnier than
deliberate comedy. Therefore I try to create the illusion of a “real-life” situation or character.
However, it must be believed totally; if I were to let people in on the joke, it wouldn’t have
that effect… Finally, concerning my ‘brief flirtation’ with levitation, this is something
I have studied and practiced for several years and I take it very seriously.”
(Da una lettera di Andy Kaufman inviata a «Rolling Stone»)
F I N A L I S T
Ball Don’t Lie è un’espressione uti-
lizzata nel mondo della pallacanestro per in-
dicare una situazione in cui a un giocatore
viene assegnato un fallo discutibile e al mo-
mento del tiro libero sbaglia la realizzazione.
La palla non mente, se il fallo ci fosse effet-
tivamente stato la sfera sarebbe entrata. Ma
cosa succederebbe se decidessimo di utiliz-
zare questo potere divinatorio in un altro
modo, per esempio affidando a un tiro a ca-
nestro la risposta ad alcune nostre domande?
Facciamo una prova, Roberto Fassone è un
giocatore di basket? Senza troppa fatica la
palla centra l’anello di ferro. Bene, ma Ro-
berto non è anche un artista? Per la seconda
volta la sua traiettoria si conclude all’interno
del canestro. Questo risultato, soprattutto
considerato che nessuno di noi sappia giocare
a basket, non fa che confermare quello che
in fin dei conti già sapevamo: Roberto Fas-
sone è un giocatore di pallacanestro e un ar-
tista.
Come racconta all’inizio di Hans Ulrich Obrist
interviews Roberto Fassone (2016), un’inter-
vista con il famoso critico e curatore svizzero,
il gioco è da sempre un elemento molto im-
portante nella ricerca dell’artista.
Gioco inteso come attitudine, ma anche come
strumento di analisi, un sistema di regole
ben precise per la realizzazione di una tasso-
nomia dei processi creativi.
Basti pensare a sibi (2012-ongoing), un soft-
ware online che genera istruzioni per la pro-
gettazione di potenziali opere d’arte. Oppure
a Charades (2016), una performance in cui
il gioco dei mimi diventa uno strumento d’in-
dagine dei meccanismi che regolano il sistema
dell’arte, mettendo a confronto sette colle-
zionisti con 100 opere del XX secolo mimate
dall’artista.
Ricondurre un’opera al concetto fondamen-
tale che la regola, per farla diventare un aned-
doto che può essere raccontato in poche pa-
role/gesti, è anche alla base del lavoro If Art
Were To Disappear Tomorrow What Stories
Would We Tell Our Kids? (in collaborazione
con Giovanna Manzotti, 2014), una pubblica-
zione che raccoglie 94 opere, descritte utiliz-
zando il limite di 140 caratteri, ossia la lun-
ghezza massima di un tweet. Non è un caso
che nel titolo l’arte sia associata al mondo
delle favole e noi spettatori ad attenti ascol-
tatori desiderosi di meravigliarsi. L’approccio
di Roberto non è volto a dissacrare, banaliz-
zare le opere di cui parla o che utilizza nelle
sue performance. Il punto di partenza di que-
sta indagine è piuttosto lo stupore nei con-
fronti di quelle che lui stesso definisce “opere
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