“Mi sono guardato alle spalle e nello stesso odio ribollente si ergeva iraconda e fumante
la foresta vergine, mentre il fiume nella sua maestosa indifferenza e condiscendenza sprez-
zante annientava ogni cosa: la fatica degli uomini, il peso dei sogni, le pene del tempo.”
Werner Herzog, La conquista dell’inutile, 2007
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Margherita Moscardini
l a C o n q u I s T a d e l l ’ I n u T I l e
F I N A L I S T
Quante volte sarà capitato, nella vita di ognuno di noi, di non essere in grado di rag-
giungere un obiettivo per come ce lo eravamo immaginati? Quante volte il traguardo è stato
troppo distante, la strada impercorribile, la burocrazia soverchiante?
e il progresso a ogni costo sono imperativi mo-
rali, non finalizzare diventa occasione per con-
cedersi un tempo di riflessione altro, svolgere
ragionamenti più ampi e mettere in discussione
lo stesso ruolo creativo dell'artista.
Asylia (2015) è il progetto con cui Moscardini
partecipa al concorso a inviti di ArtLine, a Mi-
lano. La sfida è pensare a un’opera pubblica
permanente destinata al parco di sculture Ar-
tLine, nel complesso di CityLife. L’artista pro-
pone un parallelepipedo di marmo nero, un
piazzale rialzato. Un semplice segno grafico,
quasi una cancellatura tracciata col pennarello,
che si dispone orizzontalmente a terra, in con-
trasto col paesaggio vertiginoso e luccicante
scaturito dalla frenetica speculazione edilizia
che in pochi anni ha completamente trasfor-
mato lo skyline del capoluogo lombardo.
Il parallelepipedo di marmo nero è un elemento
scultoreo, ma è anche un’architettura, ha una
funzione specifica. È normato come spazio ex-
traterritoriale, ad esprimere la condizione di
indeterminatezza del rifugiato, che l’artista ri-
conosce come paradigma di questo tempo.
Margherita Moscardini combatte contro questi
elementi in ogni suo progetto, allo stesso modo
in cui le architetture delle sue opere lottano e
sono sopraffatte dai segni del tempo. Ma non
si tratta solo di uno scontro: è anche una vo-
lontà specifica, che sottende a tutta la sua pra-
tica e che la pone in stretta contiguità con
tutte quelle esperienze architettoniche che, a
partire dall'architettura illuminista fino al Ra-
dical, hanno fatto del non finito, e dell'utopia,
una modalità espressiva. Il limite che attra-
versa il lavoro di Moscardini non è infatti una
contrarietà tecnica o operativa, ma è un anelito
alla autenticità, nella convinzione che “il pro-
getto non costruito può esistere molto più di
un oggetto prodotto. È visione pura (o idea
pura), non corrotta dai compromessi della pro-
duzione”.
Se si scorre il suo portfolio, un numero consi-
stente di opere sono contrassegnate dalla pa-
rola never – mai. Mai realizzato, mai finito, mai
costruito. I progetti di Moscardini avrebbero
meritato di vedere la luce, certo. Ma dove la
produttività, la crescita costante dei consumi