MR NETTUNO SBARCA A POSEIDONIA
Mr Nettuno – la luminescente incarnazione del
dio greco Poseidon – nume tutelare di Paetum –
è riapparso in questi giorni in una delle Torri che
si ergono ai lati delle antiche mura ciclopiche, e
ha portato con sé tutta una schiera variopinta e
luminosa di figure danzanti e di vivaci girotondi dei
nostri giorni.
È così che il MMMAC accoglie quest’anno la
personale di Marco Lodola, un artista che, proprio
in un’epoca di lugubre raccapriccio come la nostra,
ha saputo offrirci un’arte dove emerge anzitutto
un’atmosfera di vivace piacevolezza.
“Piacevolezza”, che vuol dire: varietà dei colori,
precisione del tratto, vitalità delle immagini che
si lasciano trascinare dall’onda armoniosa del
ballo, del gioco, dell’incontro amoroso… e che
si esibiscono nei loro rituali, più edonistici che
orgiastici.
L’elemento, poi, cha ha reso, e rende ancora più
perentorie e suasive le figure di Lodola, è l’incontro
con la luce. Con la sua modalità che, da un lato,
rende ancora più astratte e emblematiche le
sue composizioni; ma che, dall’altro, offre a
queste figurazioni quell’assolutezza che cancella
ogni particolare superfluo, ogni sfaccettatura
“pittoricistica”, e fa vivere le figurine, o anche le
grandi silhouettes colorate e luminose, con una
immediatezza che nessuna “resa veristica” potrebbe
ottenere.
Il che non significa, ovviamente, il ritorno a
una pittorica a base di impasti, di chiaroscuri, o
viceversa a quell’astrattismo che aveva eliminato
dal mondo dell’arte visiva una delle sue essenziali
componenti: la “narratività”, e Lodola, infatti, riesce
a proseguire la lunga vicenda dell’arte figurativa
rifiutando i vecchi mezzi espressivi, gli antichi
“media” della tela e del pennello, della creta e della
pietra plasmata o scolpita, facendo ricorso invece a
quelli che si possono definire i “new media”: i nuovi
mezzi della comunicazione odierna basata sulla
luce, sul colore, sul movimento, sullo scintillio del
night-scape metropolitano. Ed è questa una delle
prime costanti che Lodola ha saputo individuare,
sin dai giovanili esperimenti (solo apparentemente
accostabili al futurismo d’un Depero o a certa
pop-art americana) ossia: che attualmente buona
parte delle esperienze estetiche con cui veniamo
a contatto giornaliero, non sono tanto i dipinti
dei musei o i monumenti delle piazze cittadine,
quanto gli infiniti stimoli, spesso anestetici, spesso
Kitsch, ma tuttavia carichi di una indiscutibile
carica espressiva, che ci vengono forniti dalla TV,
dagli spot, dalle pubblicità luminose, dalle insegne
dei bar e dall’arredo urbano.
Questa
interpretazione
della
civiltà
contemporanea,
del
resto,
avveniva
già
a
partire dai primi lavori di Lodola in apparenza
più elementari ma che in un secondo tempo
venivano acquistando sempre più la perentorietà
NATALE D’ARTISTA
Montecatini Terme 2013
di un “iconismo feticizzato”: le coppie danzanti, le
figurine appena accennate, le ghirlande, i grovigli
di sagome donnesche o infantili… costruivano
un loro mondo, a un tempo decorativo (la
gradevolezza dei colori timbrici, delle iterazioni
grafiche) e socialmente impegnato.
Di questo micro-universo lodoliano abbiamo,
oggi, nella mostra al MMMAC, alcune tra
le più significative prove recentissime: dai
disegni su “carta povera colorata” con le figure
delle danzatrici, delle coppie, d’una sirena, di
un delizioso “velocipede” ottocentesco, d’un
tronfio gentiluomo in cilindro e marsina… alle
più imponenti grandi plastiche a parete,
semplici e luminose (ancora coppie danzanti,
ma anche motociclisti, magmatico “bacio”
giallo e violetto), fino alla maestosa figura
di Mr. Nettuno, dove lo scheletro a neon dà
alla sagoma luminosa una sua corposità
tridimensionale e magica.
Quello che, tuttavia, non può non stupire,
considerando la tipologia adottata dall’artista
per una mostra da ambientare in un contesto
architettonico-archeologico
come
quello
di
Paestum, è quale forma avrebbe avuto “l’incontro”
tra la sua arte e l’ambiente stesso. Ebbene, è
proprio questo aspetto che appare sorprendente:
l’opera di Lodola non risulta affatto discordante
come si sarebbe potuto ipotizzare, appunto,
perché contribuisce a vivacizzare gli antichi
solenni spazi, senza “contaminarli”, rimanendone
distaccata: figlia d’un età diversa che non intende
essere assimilata con le precedenti.
Mentre molte opere pittoriche recenti, anche
dai
massimi
interpreti,
“stonerebbero”
se
poste a confronto con ambienti arcaici, per
un
“coinvolgimento”
pericoloso,
queste
di
Lodola
rimangono
nettamente
differenziate
dall’ambiente e dunque non lo “contaminano”
ma se ne servono come “supporto”. Si è discusso
sin troppo attorno alla “fine della figurazione” o
attorno alla necessità dell’astrazione. Oggi, di
fronte al dilagare di esperimenti dove installazioni
di oggetti scombinati o complesse costruzioni
concettuali imperversano, opere come quelle
esposte, nella loro allegra brillantezza, nella loro
sovrana indifferenza circa i canoni del bello o
del Kitsch, ci offrono un esempio sintomatico di
come una base di ironia, di giocosità, di persiflage,
possa essere utile per consentire il verificarsi
d’una espressività autonoma, e, perché no,
ammonitrice.
Gillo Dorfles
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