Credo che risulti sempre più chiaro come i Nuovi
Futuristi si siano posti al punto giusto in cui è
terminata una fase “implosiva” (attrazione del
passato, dei valori manuali e pittoreschi) e si è
avuto l’attuale rilancio “esplosivo”, accompagnato
da un raffreddamento di forme.
Di fronte ad una simile inversione di tendenze,
impallidisce una distinzione su cui pure non ho
mancato di porre l’accento, quella tra i Nuovi
Futuristi da dirsi figurativi, iconici, e gli altri invece
decisamente aniconici, o astratti, per usare un
termine di largo uso.
Ma i due aspetti, nel caso di tutti i membri del
gruppo, si contemperano reciprocamente: gli
“astratti” movimentano i loro rigori geometrici
con buone dosi di estro, mentre i figurativi, tra
cui Lodola oltre ai Plumcake e alla Bonfiglio,
raffreddano le movenze iconiche, le stilizzano
al massimo, ne traggono effetti di cristallina
geometria.
Non basta ancora, un altro tratto comune a tutti
i Nuovi Futuristi, figurativi e no, sta nell’effetto
spaziale, tridimensionale che accompagna tutti
i lavori, col che si conferma anche la loro decisa
appartenenza a una fase nuovamente espansiva,
“ambientale”.
L’opera che Lodola espone nella presente occasione
è particolarmente significativa in tal senso, dato
che si tratta propriamente di un “ambiente”, o di
una “installazione”.
Intanto, i suoi profili di coppie danzanti, o intente
a qualche altra pratica amena e del tempo libero,
sono stilizzati più che mai, fino a trasformarsi
in lucidi componibili, in pezzi a incastro per un
meccanismo perfetto; e conta molto anche il
materiale plastico, di impeccabile cromatura, con
cui sono ottenuti. Ma in fondo il giovane artista
ci aveva abituato, fin dalle sue prime comparse,
a queste sagome tanto felici ed esatte, capaci di
danzare con calibrate scansioni sulle pareti.
La novità sta ora in una variazione di scala: quei
puzzle non accettano più di rimanere confinati in
una dimensione prestabilita.
Sono come sfuggiti a un campo gravitazionale,
e possono così crescere a dismisura, dilatarsi, “a
macchia d’olio” sulla parete, quasi senza limiti alla
loro ansia di crescita; o meglio, il limite c’è, ma
contingente, casuale, posto dal confine stesso
della stanza.
Eppure, è tanta la forza espansiva di quelle sagome,
che potrebbero continuare a dilatarsi se solo fosse
dato loro un supplemento di superficie.
Siamo definitivamente fuori dal “quadro” e dal suo
senso guardingo della misura.
Ma il fatto nuovo è che le figure di Lodola non
si dilatano soltanto nelle due dimensioni della
superficie: in fondo, lo avevano sempre fatto, o
almeno, ne avevano dimostrato la capacità e quindi
una tale espressione non ci stupisce più di tanto.
La novità, è che ora osano dilatarsi anche nella
terza dimensione, e ben di più di quanto non fosse
per il tenue spessore dei materiali plastici da cui le
sagome vengono ritagliate.
Una di quelle coppie, sullo slancio, avendo
raggiunto il limite inferiore della parete, prosegue
e si avventura nello spazio aperto, si erige come
sagoma autonoma, uscendo fuori da “Flatlandia”,
come forando una batteria.
E subito dopo si arresta, paga di aver stabilito quella
specie di testa di ponte nello spazio a tre dimensioni.
Ma sentiamo che, in una prossima occasione, la
dilatazione, l’invasione potrà continuare, fino a
popolare il nostro ambiente reale con una folla di
simulacri.
Renato Barilli
LUMINAPOLIS
Tirana 2016
180