LUMINAPOLIS
Sala delle colonne, Pontassieve 2013
Pochi artisti presentano opere più rutilanti, più
elettriche, più spavalde di Marco Lodola, che nel
forgiarsi il linguaggio del “Nuovo Futurismo” ha
riversato la formazione accademica (presupposto
anche del suo meno noto coté di pittore) in una
vigorosa vena creativa supportata dai materiali
contemporanei e in particolare dalle tecnologie
della luce. Le numerose mostre, compresa l’estesa
partecipazione alla Biennale di Venezia del
2010, confermano la sua suprema padronanza
di questo medium originale, che si tratti delle
superfici levigate e irradianti delle lastre acriliche
retroilluminate dai neon sagomati, o delle trame
punteggiate delle fibre ottiche, attorte e modellate
nello spazio a evocare smaglianti figure d’ibridi e
d’eroi. Ricordo ancora come un istante di magica
sorpresa la scoperta di un suo Pegaso acceso
sulla facciata intensamente rossa d’una villa al
Forte dei Marmi, che dominando il buio spesso
di giardini geometrici e silenti e – ça va sans dire
- soverchiando la luce minimalista dei lampioni
stradali, irrompeva come una costellazione aliena
nella quiete notturna di una stradina della Roma
Imperiale. Ma, prima della creazione luminosa,
c’è per Lodola il disegno progettuale, già saturo
di colori e soprattutto espressivo d’identità
grazie al segno sicurissimo e netto. Nel rivisitare
ironicamente le celeberrime icone della pittura
rinascimentale, Lodola trova per ogni effigie, con
precisione di cesellatore, la sigla grafica o cromatica
che la rende immediatamente riconoscibile: la
gran curva del copricapo per Lorenzo il Magnifico,
la fluenza sinuosa della barba in Leonardo da Vinci,
il mosaico multicolore del volto arcimboldesco… e
si potrebbe continuare. All’origine di tanto trionfo
di tinte però – le tinte pure e squillanti degli acrilici
e delle plastiche contemporanee – mi par lecito
riconoscere
l’espressione
creativa
bianconera
per eccellenza: la silhouette, settecentesca e
garbata arte dei profili, ritratto d’ombra prima
che di luce, figlia del cammeo, madre della grafica
novecentesca e antenata del cartoon. Non a caso
chi abbia per le mani il catalogo dall’ambizioso (e, di
nuovo, divertito) titolo Lodola alla corte de’Medici
che ha accompagnato la sua recente mostra in
Palazzo Medici Riccardi a Firenze, nel girarlo trova
in quarta di coperta un disadorno profilo campito
di bianco su fondo nero. L’autoritratto-silhouette
di Lodola è una sorta di “gemma” grafica moderna
presentata in omaggio a quell’appassionato
collezionista di glittica che fu Lorenzo il Magnifico,
il quale campeggia invece in copertina come un
patchwork di tinte fluorescenti. Dal cortocircuito
tra passato e attualità, l’arte di Lodola continua a
ricevere scariche di energia, che dalle sue creazioni
si trasmettono a chi le guarda, in un processo di
autentica interazione tra gli autori di ieri, l’autore
di oggi e il uso pubblico.
Cristina Acidini
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