Caro Marco,
La Luce, la Musica, la Speranza, la Stella. Non
ci conoscevamo, era il giugno 2020 e ti ho
telefonato per la prima volta. Eravamo finalmente
usciti dal Covid – almeno così credevamo. A
quella prima telefonata, grazie alla complicità
di Walter Vacchino, ne sono seguite così tante
altre che sentirci è diventata una bella abitudine
praticamente quotidiana. Ero affascinato dall’idea
di una Natività luminosa, dalla sfida di un Presepe
inclusivo. Ci è venuto in mente Sanremo, la
manifestazione più ecumenica della Rai, 71 anni di
storia della radio e della televisione italiana con la
sua sterminata galleria di protagonisti, anch’essi
simboli della nostra memoria collettiva. Il mistero
della Natività, la Vergine Madre, una giovane
donna le cui sembianze nella grotta di Greccio San
Francesco per primo non riuscì a tramandarci. E’
stato naturale identificare quella ragazza “che non
aveva l’età” in Gigliola Cinquetti. E poi le nostre
discussioni sui personaggi e sulle canzoni. Una su
tutte “Volare”, amata e cantata in tutto il mondo,
quindi un pastore doveva essere Domenico
Modugno…E tra le pastorelle? Ci si poteva
dimenticare - perché ‘nessuno ci può giudicare’ – di
Caterina Caselli, uno dei pilastri del festival. E San
Giuseppe? Quello non si può toccare, poteva essere
soltanto Lucio Dalla, nato il 4 marzo 1943.
Quante parole intorno ai Re Magi: no, loro
dovevano essere stranieri… Louis Armstrong, Sting,
Ray Charles. E dopo ogni telefonata mi mandavi i
tuoi schizzi, le tue proposte di immagini su carta.
La tua genialità nell’ideare un’orchestra tutta in
nero, senza luce e quasi muta perché nel frattempo
ci stava sommergendo la seconda, terribile ondata
del virus. Quell’orchestra, simbolo di sofferenza,
sarebbe dovuta diventare la facciata dell’Ariston.
E poi c’era la piccola stella che rappresentava Gesù
Bambino e quella bellissima cometa, la Stella delle
Genti, volti colorati ma senza fisionomie, pensata
per donare speranza dall’esterno di viale Mazzini,
cuore della autodefinita più grande azienda
culturale italiana.
Poi però, a opera compiuta e consegnata, che dolore
doverti dire che gli ordini erano repentinamente
cambiati! Perché in Rai anche i direttori hanno
dei capi, con i loro inopportuni consiglieri… Fino a
quando non è comparso quel maghetto teutonico
di nome Eike Schmidt che ha voluto portare il
Presepe a Firenze. E il 15 dicembre, ormai a ridosso
del Natale, che emozione vederlo finalmente
accendersi e illuminare la città dal Verone degli
Uffizi. Ho dovuto ammettere che sembrava nato
apposta per il Lungarno.
Beh, è stato davvero un momento ‘stellare’, di Luce,
Musica, Speranza. E l’inizio di una bella amicizia.
Alla prossima avventura,
Nicola Sinisi
SERVIZIO PUBBLICO
Riavvolgendo il nastro dell’intera storia, meglio
ancora, il pluriball che protegge le opere appena
giunte, si ha la piccina sensazione che qualcuno
abbia ritenuto il presepe di Marco Lodola inidoneo
agli ipotetici crismi ordinari della cattolicità, così
come, al momento, viene concepita nelle sagrestie
del servizio pubblico; da cui la telefonata nella
quale si comunicava la disdetta del “suo”, ritenuto
impresentabile, presepe al Maestro. Accade però
che il direttore delle Gallerie degli Uffizi di Firenze,
Eike Schmidt, venuto a conoscenza dell’affaire,
chiami Lodola: Maestro, non si preoccupi, il
presepe lo vogliamo noi, lo mettiamo qui, agli
Uffizi. Il presepe di Lodola è adesso salvo, insieme
a un’idea perché no, laica, del Santo Natale. Il
presepe, infatti, come ha mostrato “Striscia la
notizia”, raggiunge subito il piazzamento nelle sale
fiorentine, assai meno intatto il senso del limite,
del ridicolo e, diciamo pure, del progresso civile,
della laicità, dell’intelligenza, dell’ironia. Poiché
la scelta di non consentire un presepe che mostri,
accanto ai Re Magi, Rita Pavone, nonostante
quest’ultima abbia dalla sua un capolavoro
prodotto un tempo proprio dalla Rai, “Il giornalino
di Gian Burrasca”, rimane una macchia, un vulnus,
e anche un’indicazione sui tempi penosi, da rosario
chiodato, degni di un nuovo Indice nel quale
stanno per rinchiudere il nostro pensiero e, già che
ci sono, gli stessi muschio e carta stellata d’ogni
ideale presepe liberatorio dell’estro e della fantasia.
C’è dunque da immaginare un presepe parallelo
in blazer, nel quale i dirigenti Rai, poco importa
quali, raccolti ai “piani alti” di viale Mazzini, previo
segno della croce, decretano che, questo presepe
di questo Lodola giammai! Piccina idea del Natale,
quasi neo-controriformistica, povero Natale, e che
miseri pensieri da grisaglia, perfino al tempo del
virus… Incapacità di comprendere che i personaggi
di Lodola sono come cuori devozionali, immagini
sacre che dimorano nelle edicole sante notturne,
questo nonostante siano tratti da un catasto del
tutto mondano, in quadricromia; un contesto
“rallegrante”, direbbero i futuristi della seconda
ondata, riferita allo spettacolo del mondo nel suo
vortice visibile, pronto a pugnalare ogni forma di
grigia afflizione. Sia nella loro evidenza spettacolare
sia mostrandosi come pura iconografia: manifesto,
poster,
cartolina
autografata,
calendario
profumato, sticker, adesivo, decalcomania, ticket
di concerto, carta da parati non meno magica. E ora
anche presepe. C’è dietro un lavoro di ritaglio, come
già Matisse divorato dall’artrosi alle mani al tempo
dei suoi “découpage”, sia dionisiaci sia destinati allo
spazio sacro di una chiesa come i paramenti sacri
esposti ora ai Musei Vaticani. Lodola ritaglia pezzi,
pezze e pezzature adesive destinate a comporre
volti e figure. Nel suo repertorio magico c’è modo
di veder irrompere e sfilare ogni genere di viso della
storia, reso quasi divino da una luce che trapassa
Buon Natale! Oggi vi raccontiamo la storia del
presepe di Marco Lodola, un artista, già “nuovo
futurista”, dispensatore di luci e di immagini che
custodiscono la grazia dell’immediatezza iconica.
La Rai, nei mesi scorsi, ha infatti commissionato
esattamente un presepe proprio a lui, Lodola; si
tratterà di un presepe “d’artista”, per nulla simile
ai “100 presepi” tradizionali che ogni anno è
possibile visitare nella romana piazza del Popolo. Il
presepe di Lodola è particolare, appunto, colorato
e luminosissimo, vi prendono parte, accanto alle
figure proprie “ufficiali” - Gesù bambino, bue e
asinello, ecc. – i personaggi della leggenda musicale
planetaria, da Drupi a Lucio Dalla, da Pavarotti a
Gigliola Cinquetti, perfino Rita Pavone, e David
Bowie, e molte altre icone ancora di un ideale
mistero gioioso e luminoso canoro pop parallelo,
un omaggio implicito anche al Festival di Sanremo
e alla sua storia. Il presepe giunge in Rai, gli
assistenti di Lodola sono pronti a installarlo in viale
Mazzini, all’interno dell’atrio, dove attualmente si
svolgono, causa Covid 19, perfino i collegamenti,
subito dietro l’araldico “Cavallo” dello scultore
Messina, equestre simbolo aziendale. Dal camion
sono stati già scaricati tutti i pezzi, accade però
che, improvvisamente, qualcuno ci ripensi e dica
che, no, questo presepe non s’ha da installare!
Aleandro Biagianti
il colore immanente nella plastica, come in un
espediente formale del cubismo sintetico. Come
nel conclusivo girotondo felliniano di “8½”, come
nell’effetto-animazione che si produce scostando
con il pollice i fogli disegnati in sequenza, avendo
così la sensazione che Topolino o Minnie o Popeye
o Crazy Kat o Dick Tracy, o Lodola stesso, ci stiano
davvero salutando, ogni suo lavoro accompagna
davanti al nostro sguardo un carosello infinito di
personaggi. Sono divi, eroi, condottieri, pin-up,
performer, chitarristi in pantaloncini… Ci sono
tutti, proprio tutti, e a volerli indicare con esattezza
sarebbe davvero un elenco estenuante. E adesso
anche i Magi e Gigliola Cinquetti nei panni, così
sembra, della Madonna. Un presepe dove sembra
di vederli tutti avanzare verso le nostre pupille al
suono della “Mickey Mouse Club March”, la Marcia
del Club di Topolino, la stessa che chiude “Full Metal
Jacket” di Stanley Kubrick. Da quest’anno, tra gli
amici veri del Natale, ci sono anche, accanto al bue
e all’asinello, Mina e Rino Gaetano, esatto. Peccato
che il cielo di viale Mazzini per queste feste abbia
rinunciato al blu che giungeva con Marco Lodola.
Fulvio Abbate
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