ABBEY ROAD
Centro Mercato Sergio Stignani, Argenta 2017
ROCK MUSIC PLANET
Piazza Duomo, Milano 2009
Futurismo? Perché si? A cent’anni dalla diffusione
del primo manifesto lo spirito suo rimane intatto.
Poiché il futurismo non fu una indicazione di
stile, neppure una scuola o una setta alla quale
appartenere. Il futurismo è i futurismi. È un
metodo mentale per il comportamento creativo,
un modo di porsi dinnanzi alla realtà. L’entusiasmo
di cent’anni fa per la macchina, il rumore del
motore, la velocità dello spostamento potrebbe
oggi suonare ingenuo se rapportato alla catastrofe
del traffico urbano e alle congestioni autostradali.
Se ne si considera invece lo spirito profondo, quello
cioè della passione per l’innovazione, della scelta
costante priva di dubbio fra ripetizione accademica
e rottura degli schemi, ebbene allora lo spirito
del futurismo è uno degli strumenti essenziali
per vincere la grande scommessa di domani,
che è poi quella della presenza attiva sui mercati
delle idee e delle cose nella globalità in divenire.
L’innovazione costante combinata con l’unicità
dei caratteri vi sarà l’arma vincente. Marco Lodola
segue questo percorso con determinazione da
quando Renato Barilli ebbe l’intuito di definire il
gruppo suo e dei suoi amici “Nuovi Futuristi”. E lo fa
con particolare originalità. Oggi l’accademia non
passa più ore tediose a rappresentare tazzine da
brodo o nudi di ferrovieri in posa dopolavoristica;
celebra all’infinito corsi di concettualità o di arte
povera, piccole esercitazioni d’avanguardia o di
neofigurazione pittorica. Contro questa corrente
Lodola rema. Rema con forza e con la convinzione
che l’innovazione stia in altri materiali, nella luce
elettrica e nei led, nell’estetica visiva che sorge dal
fumetto e dalla pubblicità, nella forma popolare,
nella partecipazione meccanica del metallo, del
vetro, delle plastiche e delle gomme alla genesi del
progetto. Ma sopratutto crede che l’opera debba
vivere in mezzo alla gente, voglia partecipare ad
un gioco collettivo. E ci riesce l’opera finita forse
anche per la genesi artistica dell’ autore, nato
pavese e cresciuto all’ironia toscana negli studi
fiorentini. Perché è proprio la leggerezza del gesto,
la sua volontaria trasposizione ironica, che la rende
amicante sin dal primo sguardo.
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