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nel mondo ha significato in questi
anni raccogliere impressioni, memorie,
sentimenti da un pubblico vastissimo.
È questa terza figura emersa a margine
dei prodotti e degli autori a completare
il ritratto di FontanaArte: le persone che
l’hanno amata e che hanno lasciato che
gli oggetti di FontanaArte abitassero le
proprie vite.
L’aura di FontanaArte ci è parsa visibile:
un’immagine mitica di bellezza, grande
come tutte le storie che ha attraversato.
Abbiamo trovato tracce di FontanaArte nei
film che abbiamo amato, negli studi degli
architetti che hanno costruito le nostre
città, sul tavolo degli scrittori, accanto agli
artisti. L’aura di un marchio è una fantasia
collettiva, che attraversa tempi, luoghi e
vicende spinta da un grande impulso vitale.
Questo istinto artistico si chiama bellezza e
attraversa il nostro archivio, i nostri uffici
tecnici, ed è capace di raggiungere ancora le
nostre case.
GIO PONTI
Per interpretare il mito contemporaneo di
FontanaArte è fondamentale la figura del
suo primo direttore artistico: Gio Ponti.
Ponti sapeva leggere il presente e allo
stesso modo proiettarsi nella dimensione
senza tempo dell’arte. Sapeva cioè essere
“contemporaneo” e “classico”.
Quest’ambivalenza tutta italiana, che volava
sulle ali della geometria e della metafisica,
ha fatto di lui il fautore di una cultura
artistica condivisa, che andava dalla
costruzione della città alla promozione
delle arti. Ponti sapeva che l’arte è la
“materia prima” del mondo e intuiva, con
brillante spirito della storia, che l’industria
sarebbe stata lo strumento di dialogo
con il proprio tempo, capace di creare un
terreno comune su cui muovere tecnologia,
produzione e società.
Proprio il suo operato e la sua influenza
in alcune realtà industriali italiane,
metteranno in atto l’unione di arte e
industria da cui emergerà un’inedita figura
di progettista-artista: il designer.
Una storia, tra le molte di FontanaArte,
racconta il suo modo di creare e di agire.
La “Bilia”, la celebre lampada formata
da un cono e una sfera sovrapposte, fu
disegnata da Ponti negli anni Trenta.
Sintesi perfetta di geometria e tecniche
di produzione industriale, dimostrava
una modernità pari agli esperimenti
coevi d’oltralpe. Provocatoriamente
potremmo definirla “un progetto che la
Bauhaus non aveva saputo fare”. Poiché
Ponti comprendeva che le avanguardie
artistiche rischiavano di non tenere
in considerazione i tempi del proprio
pubblico, decise quindi che fosse venuto
il momento per mettere la Bilia in
commercio soltanto alla fine degli anni
Sessanta quando tornò alla direzione
creative designers are only
part of the story. Mention
of the name FontanaArte
over these years has elicited
a host of impressions,
memories, and sentiments
from a vast array of people.
Alongside the products
and their creators, they are
the ones to complete our
portrait of FontanaArte:
the people who have loved
and welcomed FontanaArte
objects into their lives.
The FontanaArte aura begins
to glow before our eyes: an
image of legendary beauty,
as big as all the stories it has
helped to tell. We find traces
of FontanaArte in our best-
loved films, in the studios
of the architects who have
built our cities, on the desks
of writers, in the ateliers of
artists. The aura of a brand
is a collective fantasia that
spans time, place, and
events, driven by a great
vital impulse. This artistic
instinct is called beauty; it fills
our archives, our technical
offices, and still takes up
residence in our homes.
GIO PONTI
We cannot grasp the
contemporary FontanaArte
legend without knowing
something of its first art
director: Gio Ponti. Ponti was
able to interpret the present
while projecting himself into
the timeless dimension of art.
In other words, he knew how
to be both “contemporary”
and “classic”.
This fully Italian dichotomy,
lifted on the wings of
geometry and metaphysics,
made him the source
of a shared artistic
culture, ranging from the
construction cities to the
promotion of the arts. He
knew that art is the raw
material of the world and his
brilliant historical intuition
told him that industry would
be the tool for dialogue
with his times, i.e., it would
become the common
ground, the meeting point, of
technology, production, and
society.
His work and his influence
in certain Italian industries
was precisely what it took
to achieve a unity between
art and industry, giving birth
to the novel figure of the
architect-artist: the designer.
One of the many stories
evoking the FontanaArte
modus operandi regards
the Bilia lamp. Composed
of a sphere atop a cone,
the famous lamp was
designed by Ponti in the
1930s. A perfect synthesis
of geometry and industrial
production techniques, it
exhibited a modernity on a
par with coeval experiments
across the Alps. We might
mischievously call it “a
project that Bauhaus had not
being able to make”. Since
Ponti understood that the
artistic avant-gardes risked
being temporally out of step
with their audience, he held
off on marketing the lamp
until the late Sixties, when
he resumed artistic direction