ra. Da questo momento in poi fu tutto un
fiorire di vetri soffiati a galea e di effetti a
penne, un rigoglio di incisioni a punta di
diamante…
La squisita fattura dei manufatti muranesi
mandava in visibilio regnanti e aristocratici
di tutta Europa, tanto che iniziarono a mol-
tiplicarsi le imitazioni della produzione di
vetri à la façon de Venise: vetrai veneziani
fuoriusciti dalla Repubblica aprirono fornaci
a Londra, Anversa e Monaco dando vita a
grandi centri di produzione; l’Andalusia, la
Catalogna, la Svezia, i Paesi Bassi e i terri-
tori asburgici fecero da scenario alla nasci-
ta di vetrerie “muranesi”.
In Italia i tentativi di replicare la produzio-
ne vetraria lagunare meglio riusciti furono
quelli attuati in Toscana dal granduca
Cosimo I, che nel 1569 era riuscito anche
ad attirare presso di sé il maestro murane-
se Bortolo d’Alvise, che operò in territorio
ducale fornendo un notevole contributo in
termini artistici alla produzione vetraria ri-
nascimentale.
Scoppia la Peste,
insorgono le maestranze:
l’inizio del declino
Il lento ma ineluttabile declino degli splen-
dori dell’Arte muranese, ebbe inizio nel
1600, quando dalle sapienti mani dei
maestri lagunari prendevano ancora vita
pezzi d’incommensurabile bellezza.
Lo scorcio del secolo vide l’invenzione del-
la tecnica ad incalmo e della luminescente
avventurina, dai mille riflessi cristallini di
rame metallico, ottenuti con un sofisticato
raffreddamento. La produzione di bicchieri
era differenziata ed articolata, per ade-
guarsi ai gusti e alle esigenze delle diver-
se clientele europee: alti flûtes per gli
olandesi, coppe piane come piatti d’argen-
to per il mercato italiano…
Il secolo XVII, fu anche quello della Grande
Peste che falcidiò la popolazione di mezza
Europa e non risparmiò le isole veneziane.
Nel 1656, di fronte alla chiusura di ben
undici fornaci, le maestranze muranesi
chiesero al Governo di includere i forestie-
ri nella capitalizzazione della produzione,
fino allora rigorosamente banditi da qual-
siasi aspetto del mestiere. Dopo il falli-
mento dell’assunzione obbligatoria dei la-
voranti disoccupati presso le fornaci in at-
tività, pianificato dal Consiglio dei Dieci,
venne concesso che “li maestri e capi de
maestri de verieri potessero fare compa-
gnia con il capitale di altri”.
La disposizione, in contrasto con tutti i
provvedimenti protezionistici volti ad im-
pedire l’accesso dei forestieri al mestiere,
coincise con un lungo periodo in cui si al-
ternarono revoche e nuovi provvedimenti
che di volta in volta ripristinavano l’obbli-
go di assunzione per tutti i vetrai abili o lo
abolivano. Nel 1688, si arrivò al punto
che alcuni padroni di fornace, a seguito
dell’annuale compartita del personale at-
tuata dalla direzione dell’Arte, preferirono
pagarli senza farli lavorare, cioè lasciando-
li “de vodo”, piuttosto che averli in forna-
ce dove erano già in troppi.
Ancora oggi a Venezia, “andar de vodo”
significa essere privi di occupazione.
Il conflitto nei rapporti tra padroni e mae-
stranze si concluse solo nel 1690 con la
sistemazione definitiva del personale in
esubero attraverso l’aggiustamento ap-
provato dai Dieci nonchè la decisione di
sospendere temporaneamente l’ammis-
sione dei garzoni alle prove per diventare
maestri.
Intanto in tutta Europa si moltiplicavano i
tentativi di imitare e reimpiantare una tra-
dizione del vetro analoga a quella mura-
nese: a Parigi nacque la Manifacture
Royale des glaces à miroirs, in Inghilterra
si cercò un’alternativa al cristallo venezia-
no attraverso la London Company of
glass, produttrice del vetro piombato, ma
il prodotto europeo di maggior successo fu
il cristallo boemo, che grazie alla minore
durezza poteva essere lavorato in lastre di
grosso spessore adatte anche ad essere
incise.
La “dannatissima”
concorrenza dei vetri
à la façon de Venise
Nonostante il decreto del 1709, con il
quale era fatto divieto assoluto di impor-
tare nel territorio della Repubblica qualsia-
si prodotto vetrario che non fosse murane-
se, imposizione che bandiva “l’introduzio-
ne scandalosa e dannatissima di vetri stra-
nieri”, il mondo delle fornaci, in particola-
re quello dei vetri a soffio entrò in crisi.
Nel 1730 solo diciannove delle trenta for-
naci esistenti a Murano risultano accese ed
in attività. Sono anni questi ancora di fer-
16
the Great Plague which wiped out half the
population of Europe and did not spare the
Venetian islands. In 1656, as more than
eleven furnaces were forced to close, the
Murano glassmasters asked the government
to allow foreign capital to invest in the
trade, though it had been rigorously banned
from any involvement until then.
When the forced hiring of all unemployed
workers by working furnaces, an idea of
the Council of Ten, failed miserably, it was
conceded that “the masters and employ-
ers of the glassmasters could form part-
nerships with the capital of others”.
The disposition, in contrast with all the
protectionist decrees which had attempted
to keep foreigners out of the trade, coin-
cided with a period when the alternate rev-
ocation or passage of new laws would re-
instate or abolish the forced hiring of all
able glassmasters.
In 1688 the situation got to a point where
many furnace owners, following the annu-
al assignment of personnel by the direc-
tion of the Guild, would prefer to pay them
without making them work, leaving them
“de vodo” (empty - ndt) rather than have
them in the over-crowded furnace.
Even today, the expression “andar de vo-
do” in Venice signifies being unemployed.
The conflict between owners and workers
ended in 1690 when the excess personnel
was definitively placed with the adjust-
ment approved by the Ten and by the de-
cision to temporarily suspend the admis-
sion of garzoni (apprentices) to the tests
to become master.
Meanwhile in Europe the attempts to imi-
tate and recreate a glass tradition like
Murano’s were growing: the Manifacture
Royale des Glaces à miroirs was founded
in Paris, in England an alternative to
Venetian crystal was sought in the London
Company of Glass which produced lead
crystal, but by far the most successful
European product was Bohemian crystal
which, being softer, could be fused into
thicker plates which were more suitable
for engraving.
The “damned”
competition
of glass à la
façon de Venise
Despite the 1709 decree which
severely prohibited importing any
glass product which was not
made on Murano into the
territory of the Republic and
banning “the scandalous
and damned introduction of
foreign glass”, the furnaces, and
in particular the glass-blowing furnaces,
went into crisis.
In 1730 only nineteen of the thirty fur-
naces on Murano were still fired and
working. In these years, the masters of
this Art still exercised their fervid imagi-
nation, but it was also true that the
Venetian techniques were beginning to
appear obsolete and uneconomical.
Not even the latest adjustments to the
Capitolare dell’Arte in 1766, a last-
minute attempt to revive a dying mar-
ket, brought results: the magnificence of
the Venetian glasshouses and the ancient
splendours were now on their way to-
wards an inevitable decline.
The sole exception to this scenario was the
multifaceted personality of Giuseppe
Briati, a furnace owner and key institu-
tional figure. In 1737 he obtained a ten-
year privilege to produce cristallo finissi-
mo, a potassic crystal, produced with tech-
niques he had learned abroad “in far-away
countries well-versed in such artifices”.
But only two years after the concession of
this privilege, Briati found himself unable
to continue, because this innovative
technique had fostered
Acquereccia, XVI secolo
Murano, Museo Vetrario
Pitcher, XVI century
Murano, Glass Museum