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progetto iniziale era – e ti cito testualmente – “Ora tiro su
quattro lire e poi vivo di espedienti in giro per il mondo”.
GS: Beh, tutto è iniziato nella consapevolezza che la
barca era un ottimo mezzo per viaggiare e quindi a 15 anni mi
sono detto che dovevo imparare ad andarci bene, così ci avrei
potuto viaggiare. Non devi neanche fare benzina o avere la
casa, perché lei te la porti dietro: così puoi andare lontano e
conoscere sempre nuovi paesi. A 16 anni mi sono costruito la
mia prima barca. Ho fatto il marinaio e poi qualche trasferi-
mento. Poi è successo che ho portato una barca da corsa fi no a
Palma di Maiorca. E, girando tra i moli, ho trovato uno che
andava fi no ai Caraibi e che cercava un marinaio. Allora ho
detto di sì ed è a quel punto che ho chiamato mia madre.
ML: E lei come ha reagito?
GS: Lei era pronta da tempo. L’avevo già allenata (ride).
ML: Cos’è il coraggio per te?
GS: Prima di tutto, quando vai per il mare, bisogna es-
sere consapevoli che non è il nostro ambiente naturale. In
qualche modo uno si deve perlomeno preoccupare. E se non ti
preoccupi e non hai un po’ di paura, in genere non torni a casa
vivo. Quella paura quindi è una paura sana. È ciò che ti fa fre-
nare prima di una curva, che ti fa pensare bene prima di fare
una passeggiata in montagna. Sulla barca è uguale: ti devi
preparare bene e mentre sei lì devi capire il limite della barca
e anche le tue possibilità: cosa puoi e riesci a fare e cosa è me-
glio evitare. Questo bagaglio deve rimanere con te per sem-
pre, in qualsiasi barca e in qualsiasi situazione. Anzi, se hai la
fortuna di usare una barca estrema, devi affi darti ancora di
più a questa forma di saggezza. Ad esempio, se dai il timone a
uno che non è abituato, su questi trimarani come il mio, rischi
davvero la pelle. Quindi bisogna avere un po’ paura, è così
che vedi meglio i tuoi limiti. Quindi secondo me il coraggio in
questo ambito c’entra ben poco. Dal mio punto di vista, il co-
raggio è l’avere fatto determinate scelte. È comunque sceglie-
re. Se devi fare una scelta importante, questa implica del co-
raggio. Nel momento in cui rinunci alle certezze per qualcosa
che ancora non conosci, hai bisogno di tanto coraggio. Ad
esempio in regata puoi fare scelte per quanto riguarda le rotte
e la meteorologia. Devi essere in grado di basarti sulla tua
esperienza, su tutto ciò che hai vissuto e sperimentato in
mare. Il coraggio è nel seguire la tua cultura. Se invece vai
con gli altri e cerchi coprirli è una altra cosa. E io sono molto
appassionato di queste scelte. È un po’ il mio approccio, delle
volte toppi clamorosamente, altre la fai giusta e sei contento.
ML: Torniamo al salvataggio di Isabelle Autissier, per
cui ti hanno dato la Legion d’Onore in Francia. Tu dicevi che
quello non è coraggio, ma etica e in una certa maniera anche
il modo giusto di stare al mondo.
GS: In quell’episodio di coraggio non ce n’è stato ne-
anche un po’. Era durante il giro del mondo in solitario. Or-
mai molti anni fa. Isabelle era una mia concorrente. Si era
capovolta tra Capo Horn e la Nuova Zelanda, a 59 gradi Sud.
Insomma un postaccio. Per fortuna era riuscita ad azionare
then about the Olympics, a fi fty year old won in the Nacra 17,
“little” high performance catamarans.
ML: I remember this: you got serious with the sea in
Palma de Mallorca doing a boat-stop. One day you phoned
your mother saying: “Oh I’m off ”. Your initial project was –
and I quote you word for word – “Now I’m going to get some
cash together and then stopgap around the world”.
GS: Well, everything started with the awareness that
the boat was an excellent means of travelling and so at 15 I
said to myself that I had to learn to sail well, so I would have
able o travel. You don’t even have to fi ll up on petrol, or have
a house, because you can bring it with you: that way you can
go faraway and always get to know new countries. At 16 i
built my fi rst boat. I was a sailor and then some transfers.
Then I brought a racing boat to Palma de Mallorca. And go-
ing around the docks I found a person who was going to the
Caribbean and who was looking for a sailor. So I said yes and
at that point I phoned my mother.
ML: What is courage for you?
GS: First of all, when you are at sea, you need to be
aware that it is not our natural habitat. Somehow one must at
least worry. And if you are not worried and you are not afraid in
general you don’t come back home alive. That fear is then a
healthy fear. It is what makes you brake before a bend, makes
you think before taking a walk in the mountains. It’s the same
thing on a boat: you must be well prepared and whilst you are
there you must understand the limits of the boat and your own
ones: what you can and are able to do and what is better to
avoid. This knowledge must always stay with you, in any boat
and in any situation. For example if you give the helm to some-
one who is not used to it on a trimaran like mine, you really put
your life at risk. Therefore you need to be a bit afraid, that is
how you can see your limits. So in my opinion courage in this
setting has no real role. In my point of view, courage means
having made determined choices. If you have to make an im-
portant choice this implicates courage. The moment in which
you opt out of certainties for something you don’t yet know,
you need a lot of courage. For example in regattas you can
make choices about routes and weather conditions. You must
be able to base your decision on experience, on what you have
experienced and experimented at sea. Courage is following
your culture. If instead you go with others and try to cover
them it is something different. And I am extremely fond of
these choices. It is a bit like my approach, sometimes you stump
sensationally, other times you get things right and are happy.
ML: Let’s go back to the rescuing of Isabelle Autissier,
an act for which they gave you the Lègion d’Honneur in
France. You said that was not courage, but ethics and in a cer-
tain way the right way to live in this world.
GS: In that episode courage had nothing to do with it.
It was during the trip around the world alone. At this point
many years ago. Isabelle was a fellow competitor. She cap-
sized between Cape Horn and New Zealand, at 59 degrees
First of all, when you are at sea, you need to be aware that it is
not our natural habitat. Somehow one must at least worry. And
if you are not worried and you are not afraid in general you
don’t come back home alive. That fear is then a healthy fear.
gli strumenti che segnalano la posizione approssimativa,
l’EPIRB, “Emergency Position Indicating Radio Beacons”. È
stato fondamentale. Quel segnale signifi ca che sei in grossa
diffi coltà e che stai per abbandonare la barca. Il problema è
che in quella situazione, con quel mare, non ti conviene asso-
lutamente farlo: quindi sai che sei solo una persona in perico-
lo di vita e che qualcuno ti deve venire a prendere. Ora, se sei
tra le Baleari e Saint Tropez non c’è problema. Ma se sei lì, a
59 gradi sud, allora la situazione è un po’ più complessa.
Considera che da quelle parti le navi non passano e che a
3000 miglia dalla costa gli elicotteri non arrivano e gli aerei
al limite ti passano sopra, ma non possono ovviamente fer-
marsi. E quindi puoi solo sperare nei tuoi concorrenti, se stai
facendo una regata. E quando ho ricevuto quel segnale e il
telex, sono andato a cercarla e per fortuna l’ho trovata.
ML: È stato diffi cile?
GS: Beh sono luoghi ameni, con una visibilità molto
ridotta. Il mare è uguale al cielo e ci sono sempre le onde. La
posizione del segnale è approssimata a 10 miglia, che vuol
dire che puoi tracciare dei quadrati di 20 per 20 chilometri e
cominciare a ipotizzare che sia lì dentro.
ML: E quindi come sei riuscito a trovarla?
GS: Ho avuto un sacco di fortuna, a dire il vero. Ho chie-
sto aiuto a un mio grande guru che è stato il mio maestro di me-
teorologia, Pierre Lanier, che raccattava tutte le informazioni.
Parlavo solo con lui, se no, era un delirio di telefonate da tutto il
mondo. Lui mi ha dato i dati per la zona di ricerca e ho iniziato a
south. A bad place. Luckily she was able to activate the tools
that give an approximate position, the EPIRB, “Emergency
Position Indicating Radio Beacons”. It was essential. That
signal means that you are in serious diffi culty and you are
about to abandon ship. The problem is that, in that situation,
with that sea it is absolutely not advisable to do so, so you
know you are only a person in a life-threatening situation and
that someone must come and get you. Now if you are between
the balearics and St. Tropez there is no problem. But if you
are there at 59 degrees south, then the situation is slightly
more complex. Consider that in that area ships don’t pass by
and that helicopters don’t arrive at 3000 miles from the coast
and the planes at most pass over you but obviously cannot
stop. So if you are doing a regatta you can only hope in your
fellow competitors. And when I received that signal and the
telex I went to look for her and luckily I found her.
ML: Was it diffi cult?
GS: Well they are remote places with extremely re-
duced visibility. The sea is the same as the sky and there are
always waves. The position of the signal is approximate to 10
miles which means you can trace squares of 20 km by 20 km
and begin to hypothesize the area.
ML: And so how were you able to fi nd it?
GS: To be honest I was very lucky. I asked my great
guru who was my master in meteorology Pierre Lanier, who
put together all the information to help me. I spoke only to
him, if not it would have been a frenzy of telephone calls
GIOVANNI SOLDINI
08.09.2016
rendez-vous Δ3