Stories and Matters
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Milano, 18.06.2018
Che differenza c’è tra moda e design? Come comunicano
tra loro questi due mondi così importanti anche per la
città di Milano?
Una conversazione che ha messo a confronto l’indusria
della moda con quella del produc design, due mondi
paralleli in continua evoluzione che fanno della contamina-
zione reciproca un loro punto di forza.
Talking About 2018, Moda & Design
Dialogo sulle atuali interazioni e sui futuri scambi tra le due discipline
In collaborazione con Icon, Icon Design
Ositi: Sir Paul Smith, fashion designer, Alberto Alessi, imprenditore
Moderatore: Michele Lupi, diretore di Icon e Icon Design
PAUL SMITH
ML: Moda e Design: possono incontrarsi
questi due mondi?
PS: Moda e design nella storia hanno attra-
versato periodi molto diversi ma sono
sempre andati di pari passo. Dagli anni ’80
in cui il binomio bianco e nero era il lin-
guaggio di influenza giapponese comune
ad entrambi i settori, si è giunti a oggi a una
sperimentazione del colore molto corag-
giosa, dove pattern ed elementi decorativi
sono diventati la cifra stilistica di molti
brand. Questa evoluzione si è verificata in
entrambi i settori, influenzati dalle stesse
tendenze o frutto di una contaminazione
reciproca.
ML: Come convivono fashion e furniture
nei punti vendita?
PS: In Paul Smith abbiamo un team di 12
architetti e furniture designer incaricati pro-
prio di disegnare i nostri punti vendita
in giro per il mondo e progettare anche gli
arredi. Ogni punto vendita deve essere
unico, diverso per spirito e look, deve essere
fortemente connesso alle caratteristiche
del luogo in cui sorge, questo spiega perché
gli edifici Paul Smith sono spesso molto
differenti tra loro nelle principali città nel
mondo.
ML: Qual è stata l’evoluzione partendo
dai tuoi primi punti vendita di Nottingham?
PS: Fin dall’inizio per me era fondamen-
tale la presenza di pezzi vintage di design
nell’allestimento. Il mio primo negozio
a Nottingham, la mia città natale, risale al
1970. Era un negozio troppo piccolo per
contenere degli arredi, 3metri × 3, quindi
l'allestimento era limitato a pochi oggetti.
In seguito abbiamo aperto a Londra e final-
mente abbiamo potuto ospitare pezzi
di design di dimensioni più grandi, di
Rosenthal, di Driade…
ML: E l'ispirazione dal punto di vista cultu-
rale? Quali sono i tuoi interessi?
PS: Sono interessatissimo al design ma
anche all’architettura. Ho iniziato a leggere
la rivista Domus nell'87, in quegli anni
farla arrivare a Nottingham era molto diffi-
cile ma per fortuna avevo degli amici
a Milano incaricati di spedirmela dove abi-
tavo, a Holland Street. Se potessi vorrei
ringraziare il grande Gio Ponti per aver pub-
blicato i suoi progetti già dal '67. Amo la
cura dedicata alla ricerca dei materiali che si
vede in molti edifici del passato; materie
prime pregiate come il marmo di Carrara
impreziosivano le superfici. Elementi este-
tici e funzionali avevano la stessa impor-
tanza, c’era una certa artigianalità nell’idea-
zione, la stessa che possiamo ritrovare
nella manifattura.
ML: Cosa pensi di Milano in questo momen-
to storico? Come nodo centrale di collega-
mento per la moda e per il design, pensi che
sia cambiata negli anni?
PS: È certamente cambiata, dal punto
di vista architettonico e dello skyline, si è
arricchita di nuovi simboli e istituzioni
per l'arte come la Fondazione Prada. Milano
piace a tutti soprattutto per l’importante
contributo che personalità influenti del mon-
do del furniture design e della moda hanno
saputo dare negli anni. Contemporanea-
mente è sempre stata una città un po' segre-
ta, Milano si fa conoscere lentamente con
i suoi cortili e le piccole gallerie; percor-
rendo vie più nascoste si possono scoprire
tutti i suoi lati migliori.
ML: Design e Fashion – Il pensiero all'ori-
gine della creazione è lo stesso?
PS: Penso che si tratti di due realtà con pro-
cessi di realizzazione molto diversi. Per
realizzare un capo bisogna controllare per-
sonalmente molti dettagli che vanno
dalla scelta del tessuto, al lavoro dell’arti-
giano, alle stesse forbici da usare… ma
talvolta bastano 30 minuti per avere un'idea
dell'abito finito. Nel furniture design invece
i tempi possono essere molto più dilatati.
Spesso ricerca e progettazione si muovono
in parallelo prendendo in considerazione
tecniche e tendenze molto diverse tra loro
ma legate da linguaggi comuni. Il graphic
design non è l’unico mezzo per progettare.
Nel nostro studio ad esempio utilizziamo
il computer quando è necessario ma speri-
mentiamo ancora con gli strumenti del dise-
gno, della pittura e della stampa d'arte
come la serigrafia, quindi con tutti quei
mezzi espressivi che considerano l'errore
come una potenzialità.
ML: Tornando al concept degli store, secon-
do te quale sarà il loro futuro? Pensi dav-
vero che la digitalizzazione nel commercio
possa avere la meglio?
PS: L'e-commerce incide molto sul fatturato
annuo, per noi quasi un 30% in più, ma
non possiamo certo pensare a delle città
senza negozi. Non possiamo immaginare
la scomparsa degli shop e delle figure
professionali legate alla loro progettazione.
ML: Hai deciso di dipingere di rosa l'edi-
ficio dello store di Melrose Avenue a Los
Angeles, perché questa scelta?
PS: È stata una scelta basata sull’analisi del
contesto, volevo che l’edificio fosse estre-
mamente riconoscibile, si distinguesse all’in-
terno di un sistema urbano fatto di grandi
strade simili tra loro. Mi sono ispirato all'o-
pera dell'architetto Luis Barragán, alle geo-
metrie solide e pulite e ai colori vivi e ho tra-
sformato quello che si potrebbe descrivere
come un cubo di cemento in un punto di
riferimento per la città.
ML: Se dovessi nominare un designer o un
architetto dal quale hai tratto molta ispira-
zione, quale citeresti?
PS: Ho sempre tratto molta ispirazione dai
nomi importanti dell’architettura ma soprat-
tutto da un maestro del passato, il Palladio,
e dalle sue teorie sulle proporzioni perfette.
L’estetica delle proporzioni, l'approccio
matematico applicato alla progettazione
architettonica sono comuni anche al disegno
di un abito.
ML: Sei un appassionato anche di auto-
mobili, tu hai una Bristol giusto?
PS: Sì, la Bristol è un'auto inglese del ʼ56;
la mia è bordeaux, proprio come quella del
film di Daniel Day Lewis. Daniel è un
amico e siamo stati molte volte seduti su
quell'auto insieme. C’è una forte affinità
tra noi due, come l’importanza che ricono-
sciamo nel lavoro manuale. Molti sanno che
Daniel ha fatto un’esperienza di artigiano
delle calzature a Firenze, ma ha realizzato
anche molte opere di carpenteria lavorando
con l'acciaio e il ferro. Anche per me
il lavoro manuale è importantissimo: faccio
ancora a mano le maquettes per i nuovi
negozi, le intaglio personalmente.
ML: Lusso, è ancora una bella parola? Oggi
fa pensare a una sorta di eccesso e non
ha sempre una connotazione positiva, tu
cosa ne pensi?
PS: Penso che il significato della parola
scorra in parallelo con il suo utilizzo e che
in questa epoca storica la parola Luxury
sia decisamente troppo utilizzata. Qualsiasi
nome di prodotto può essere seguito da
“luxury” nella ricerca spasmodica di rag-
giungere uno status e creare appartenenza,
si affievolisce così l’importanza della parola
stessa. Prima parlavo del mio interesse per
il “fatto a mano” che per me rappresenta il
vero concetto di lusso oggi. Circondati però
come siamo da giganti industriali che pro-
ducono moda low cost, fast fashion, è sem-
pre più difficile trovare qualcosa di unico,
fatto col cuore. La velocità è un’altra vera
problematica di oggi; sembra essere diretta-
mente proporzionale al nostro valore sul
lavoro o nella società. Cerchiamo nel digi-
tale e nella frequenza amplificata un modo
per saziare il nostro bisogno di compiacere.
C'è una frase però che mi ripeto spesso:
“Nobody cares how good you used to beˮ,
a nessuno importa quanto sei bravo.
ALBERTO ALESSI
ML: Non sei un designer ma come sottolinei
ironicamente tu sei più un “designer di
designers”. In questa staffetta tra un grande
della moda un grande del design italiano
vorrei chiedere anche a te se ci sono dei pun-
ti di contatto tra questi due mondi: Moda
e Design.
AA: Non sono un designer, esatto, sono
piuttosto un design manager. Parlando
in riferimento alla mia esperienza ho avuto,
in questi circa 50 anni di attività, molti con-
tatti con esponenti del mondo della moda;
mi sarebbe piaciuto veder applicare i meto-
di progettuali e le idee del design di moda
al product design. Purtroppo la forte
distinzione tra un product o furniture desi-
gner e lo stilista sta principalmente nella
scelta dei materiali e quindi nel saper dise-
gnare in tridimensione. Il primo scontro
con questo limite fu già alla fine degli anni
ʼ70, quando organizzammo a Berlino
un seminario sotto la guida di Alessandro
Mendini e tra gli invitati a partecipare c'era
Jean Charles De Castelbajac che mostrò
una vera difficoltà nel confronto col il dise-
gno tridimensionale. Mi ricordo anche un
altro episodio legato in questo caso a Paco
Rabanne che aveva un'idea bellissima per
uno specchio per Alessi, lo voleva chiamare
“La più bella del reameˮ ma alla fine non
riuscì a disegnarlo davvero e non andò mai
in produzione.
ML: Tu hai un’enorme esperienza: in questi
anni in Alessi, avete avuto la possibilità di
progettare un range vastissimo di prodotti.
Mi ricordo addirittura una Panda Fiat e altre
esperienze legate al mondo dell’automobile.
AA: In effetti quello che hai appena citato,
della Panda, è uno dei rari casi in cui abbia-
mo lavorato in bidimensione, perché la Fiat
non ci aveva dato la possibilità di disegnare
per intero una macchina ma soltanto la
forma degli esterni e alcuni dettagli degli
interni. Il sogno di fare una Alessi car
poteva realizzarsi con Starck qualche anno
fa ma, ahimè, nessuna industria automobi-
listica si è rivelata interessata a produrre il
progetto. Magari in futuro…
ML: Forse è più vicino di quanto crediamo!
Pensando al futuro dell’automotive si va
nella direzione di ottenere auto sempre più
intelligenti e driverless, verranno meno i
vincoli di sicurezza che obbliga il design ad
assomigliarsi e forse gli esterni divente-
ranno sempre più forme libere e gli interni
quasi dei luoghi di lavoro. Ma le ricerche
di mercato non sono sempre attendibili, lo
stesso Achille Castiglioni quando ero molto
giovane mi disse che l'unica cosa importante
per progettare è non dare importanza alle
ricerche di mercato. Hai qualche aneddoto
su di lui, tu che lo conoscevi bene?
AA: Mi ricordo di averlo coinvolto in più
occasioni, ma quando gli chiedevo di dise-
gnare oggetti per la cucina inizialmente
si opponeva. Più che altro era preoccupato
di non aver un’esperienza sufficiente in cuci-
na. Poi ne ha disegnati comunque e devo
dire che, nonostante la cucina fosse un mon-
do più femminile, i designer che progetta-
vano utensili sono sempre stati in maggio-
ranza uomini che come lui non avevano
una particolare esperienza in questo senso.
È curioso!
ML: Milano, capitale del Furniture design
e della moda, l'hai vista cambiata ultima-
mente? I nomi del design sono sempre più
internazionali, cosa è cambiato ora che
sono venuti a mancare molti dei grandi che
hanno fatto la storia del design italiano?
AA: Milano continua certamente a essere
capitale del design ma per motivi diversi da
quelli di una volta. Prendiamo la storia del
design italiano: fino agli anni ʼ70 il prodotto
era disegnato da un designer italiano e rea-
lizzato in italia da un'azienda italiana. Se
però ci spostiamo già alla seconda parte
degli anni ʼ80 una buona parte dei prodotti
italiani non era già più disegnata da italiani.
Le aziende italiane si sono aperte a un pano-
rama di respiro più internazionale e perso-
nalmente trovo questa tendenza positiva:
si sono ossigenate. Se la componente dell'i-
talianità dell'autore veniva meno rimaneva
comunque quella della produzione. Oggi
in molti casi non c'è più nemmeno la produ-
zione italiana: il design italiano è rap-
presentato da designer stranieri e prodotto
all’estero. Questa pratica di mediare tra
il mercato e gli esponenti internazionali del
panorama design è, per i marchi italiani,
una mediazione di tipo più artistico. Forse
ciò che è cambiata è la figura dell’im-
prenditore che oggi ha un ruolo sempre più
vicino a quello del curatore.
ML: Tutti sanno che tu hai una formula del
successo che ti permette di scegliere quali
prodotti mettere in produzione senza sba-
gliare, ma in cosa consiste?
AA: È vero e funziona. Consiste in una for-
mula matematica che consente di definire
con precisione quale sarebbe il successo del
prototipo che hai davanti qualora decidessi
di metterlo sul mercato. È una formula basa-
ta su 4 parametri, ogni parametro è diviso in
5 livelli ai quali corrispondono dei punteggi.
Negli anni si è rivelato un metodo infallibile.
ML: Il tuo con i designer è anche un lavoro
di scouting. Pensi prima all'oggetto e poi
a chi potrebbe realizzarlo oppure capita che
sia il designer a proporti dei progetti?
AA: Molto spesso lavoriamo come una
classica azienda a dei brief di nuovi prodotti.
Una volta scritto il brief propongo a tre
nomi il progetto e chi è interessato lo inizia.
Se la proposta che ricevo si rivela interes-
sante per la realizzazione, inizia la sua pro-
duzione che di solito dura circa un anno.
ML: tu non ami molto il mondo della
moda eppure ci sono degli elementi in comu-
ne col mondo del design anche a livello
di produzione.
AA: Il design ha preso dalla moda la velo-
cità: ora presentiamo due collezioni all'anno
e questa rapidità è quasi eccessiva per
i tempi del product design dove un designer
che progetta una sedia non sempre riesce
a muoversi in parallelo ai desideri del mer-
cato. Lo stesso Enzo Mari sosteneva
“quando un progetto che ho fatto si vende
bene inizio a pensare che non fosse un
buon progetto”.
ML: questa di fare un progetto per il piacere
di farlo è una caratteristica appartenente
anche al mondo dell'arte e della musica. For-
se i progetti fatti con amore sono quelli
che a lungo termine acquistano più valore?
AA: Questa possibilità può appartenere più
al design che alla moda. Un abito di 60 anni
fa può aver rappresentato una rivoluzione
in un periodo storico di grande importanza
culturale dove sarà confinato senza conti-
nuità funzionale; nel design un prodotto può
essere allo stesso tempo una rivoluzione
legata ad un momento storico e continuare
ad essere utilizzato negli anni successivi
allo stesso modo.
ML: A quali prodotti storici sei più legato?
AA: Sicuramente alla prima caffettiera
espresso degli anni ʼ70 disegnata da Richard
Sapper, un omaggio al mio nonno materno
Alfonso Bialetti; in produzione dal ’79 è
anche stato il primo prodotto di Alessi dedi-
cato alla cucina. Dal ’21 al ’79 infatti la
Alessi produceva solamente oggetti per la
tavola e il bar, solo dopo la caffettiera si
iniziarono a produrre utensili e altri oggetti.
Un'altra collaborazione che ricordo con
affetto è stata quella con Saeko, per una col-
lezione di orologi. Tutto iniziò con Aldo
Rossi che voleva disegnare un orologio,
arrivò con un modellino che poi si chiamò
“Momentoˮ, successivamente Achille
Castiglioni disegnò il suo “Recordˮ, poi
venne quello di Sapper e così via… la Saeko
si accorse di questi orologi e ci propose
di fare una collezione di 20 modelli.
ML: Quanto influisce il marketing oggi
sul lavoro del designer? Abbiamo ancora un
rapporto empatico con alcuni oggetti?
AA: Oggi tutto sottostà alle richieste del
marketing, uno strumento che asseconda
spesso i desideri dei target reprimendo crea-
tività e poetica a discapito del buon design.
Per me il marketing è come una gabbia nella
quale si cerca di comprimere la realtà della
società uniformando i canoni e l’estetica dei
prodotti in uscita. Molte aziende oggi pre-
tendono la regia completa nella realizzazio-
ne di un prodotto, lasciando sempre meno
libertà al designer di esprimersi con le pro-
prie competenze e potenzialità. Questo
non può che essere dannoso per il mercato
e sicuramente genererà oggetti che non
rimarranno importanti nel tempo.
ML: E come si colloca il design nel mondo
del lusso?
AA: Per me il design non è lusso: come
il lusso fa leva sul desiderio di appartenenza
e aspirazione dell’individuo, ma gli oggetti
di design vengono concepiti per una produ-
zione industriale e quindi destinati a fasce
di pubblico molto ampie. Fanno eccezione
i rari casi in cui edizioni speciali o limitate
di un prodotto sono riservate al pubblico di
nicchia delle gallerie.