Stories and Matters
2018
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Stile
“Una parola altamente impegnativa1”: così
Gio Ponti, che per tutta la sua lunghissima
esistenza lavorativa ne fece una continua,
magnifica ossessione, definiva lo “stile”.
Era il 1941: sono passati quasi 80 anni e chi
oggi ha raggiunto quella medesima età
viene definito “ancora giovane”; eppure, dal
punto di vista della storia del design, gli
anni ‘40 sono un’altra era: quei decenni
densissimi sono volati, fanno parte ormai
della storia celebrata nei manuali. Tutto
questo per notare che “impegnativa” suona
come un elegante eufemismo, dato che sul
tema è in corso da sempre un dibattito,
ora eclatante, ora sotterraneo, comunque mai
giunto a soluzione definitiva. Quella
sullo stile è, con ogni probabilità, la vexata
quaestio per eccellenza, la genitrice di
una considerevole parte delle diatribe in
cui si sono cimentati artisti, architetti,
critici, teorici, filosofi, finanche politici
nell’affrontare ciò che riguarda le arti e
l’estetica, la definizione di bellezza, della
sua percezione e di come essa influenza
l’umana quotidianità. Da Vitruvio a Gottfried
Semper, e nel Novecento, per rimanere in
Italia, dai filosofi idealisti e post idealisti
a quanti fecero loro da contraltare, come
Dino Formaggio, fino agli architetti, Ettore
Sottsass in primis, infinito è l’elenco di
quanti si sono lambiccati a definire, per dirla
con la Treccani, il “complesso dei caratteri
specifici, rispondenti a un particolare tipo
estetico, di un abito, un mobile, un oggetto
e sim.”. Dove quel “sim(ili)” prefigura
orizzonti di cosmica vertigine. Vocabolo
difficile dunque “stile”, perché incoerci-
bile e plastico, capace di attraversare
le epoche e segnarle, per poi andarsene.
La sua elasticità gli ha permesso di
forgiare, con eguale entusiasmo, le più
diverse etichette: così eccolo giovane e
frizzante aderire allo Jugendstil con quel
tono floreale e avantgarde, profumato
di Art Nouveau e di Arts&Crafts; per poi,
pochi anni dopo, asciugarsi e, sempre
all’avanguardia, trasformarsi nel geometrico,
ortogonale, ascetico De Stijl. Per poi
ancora, in ambito novecentesco, comparire
in tandem con “moderno”, una sorta
di locomotiva che ha trascinato infinità di
vagoni dalle mille fogge e destinazioni.
T
uttavia un tratto comune sembra esserci
dalla notte dei tempi a oggi: per il
vasaio greco e per Prassitele, per l’architetto
della cattedrale gotica e per lo scalpellino
nella remota pieve, per il genio rinascimen-
tale e per l’imbratta tele, per il virtuoso
barocco della sgorbia e per il falegname di
paese, creare uno stile – o anche solo
imitarlo – è stato, più o meno consciamen-
te, qualcosa di profondamente legato alla
propria identità come autore ed esecutore,
qualcosa che aveva a che fare con il
raccontarsi agli altri, con la costruzione
del presente a propria futura memoria.
L
o stile è quindi legato ai molti aspetti
dello scorrere del tempo, ne è espressione,
benché in ogni epoca ne possano convive-
re diversi. La ricerca di uno stile rappre-
senta infatti la proposta di una interpretazione
per un dato periodo storico, la migliore
si spera, ma non è sempre così automatico.
E inoltre lo stile deve anche “andare oltre
il momento” sia per eccellere hic et nunc
che per sopravvivere cioè durare: una
questione fondamentale.
P
arlando di produzione, lo stile ne è il
DNA, quel particolare genoma i cui
cromosomi si sono formati e sviluppati sia
grazie a processi condivisi con altre
aziende, sia sperimentando percorsi autono-
mi e originali. È un patrimonio genetico
che, come qualsiasi altro, deve comunque
continuare a progredire nel tempo, pena
l’estinzione. C’è un che di darwiniano in
questo dialogo tra originalità ed evoluzio-
ne: due vocaboli anch’essi “impegnativi”
che in forma di attributo – originale ed
evoluto – conferiscono a ogni stile la sua
“magia” o, se vogliamo, scomodando con
i doverosi distinguo Walter Benjamin,
l’aura2. Cambiare senza mutare: non è
“gattopardismo”, ma per l’industria è
avere costantemente coscienza di sé e dei
proprio obiettivi, sapere essere nel tempo,
avere una visione precisa, duplice e contem-
poranea: lo sguardo nel domani, i piedi
nella propria storia. Formula semplice a
parole, ma che nei fatti richiede quotidiana
attenzione. L’affermazione – orgogliosa
– delle proprie radici e di una lucida
visione dell’oggi subito domani, cioè di
uno stile “attivo” (che impronta di sé il
tempo, ne è padrone, non lo subisce) è la
base su cui si fondano i brand più rilevanti
– non importa se grandi o piccoli. E questo
in ogni campo. Basta guardare per esempio
ai diversi ed emblematici casi del mondo
delle quattro ruote; se unico rimane quello
della Porsche che dal 1931 produce in sostan-
za la stessa auto, limandone la linea
e aggiornandola di continuo nella parte
nascosta (tecnico-meccanica), da meditare
è quello di Audi che, da storica produttrice
nota per le sue vetture affidabili quanto
esteticamente “anonime”, ha saputo evolve-
re sia tecnicamente a livelli di assoluta
eccellenza (vedi l’identificazione con
l’innovazione delle 4 ruote motrici) sia
esteticamente, ridefinendo i suoi “limiti”
estetici per tradurli in una raffinata
affermazione di understatement; operazio-
ne questa che le ha permesso in modo
lungimirante di cogliere e soprattutto di
colmare un “vuoto” di mercato nella fascia
alta del panorama automobilistico.
Emblematico è poi il caso di Alfa Romeo3,
da sempre marchio corsaiolo per antonoma-
sia, che riafferma la propria natura sportiva
ritornando alla Formula1: un chiaro, allettan-
te messaggio per gli estimatori del brand,
un modo per fidelizzare gli storici e insieme
cercare nuovi adepti. Tutto questo mentre
l’intero settore automobilistico si trova ad
affrontare un cambio epocale determinato
dalla progressiva diffusione della propulsio-
ne elettrica.
U
na questione tecnologica che sta
impegnando già da tempo i grandi
marchi dell’auto a ridefinire i codici
stilistici sia del disegno delle carrozze-
rie, sia del complesso sistema di simbolo-
gie e di linguaggi che regolano i processi
di comunicazione. Ma non solo. La probabile
applicazione su larga scala della guida
assistita, oggi in fase di sperimentazione
avanzata, (così come, lo si accenna soltanto,
al concetto di smart city, totalmente
interconnessa) avrà diverse conseguenze
sulla natura stessa del veicolo, così come
lo abbiamo finora conosciuto: dalla riduzio-
ne inevitabile delle velocità e dunque della
componente sportiva dei veicoli, alla forma
e funzione stessa degli abitacoli, sempre
meno auto stricto sensu e sempre più estensio-
ne del salotto e dell’ufficio. Considerata
la velocità dell’evoluzione tecnologica
appare fin da ora fondamentale per le
grandi case definire le necessarie strategie:
come reinventarsi, con quale stile conti-
nuare a essere leader.
Analoghi gli esempi nella moda, con un
panorama di casi e storie estremamente
vario. Se i grandi fondatori dei mitici
marchi degli anni cinquanta non ci sono
più, e se la loro visione non sembra
rintracciabile nelle collezioni dei nuovi
designer delle griffe, essa rimane comun-
que fortissima come memoria, aura e
dunque come segnale di riferimento per
il pubblico. Anche qui le sofisticate
dinamiche necessarie a preservare lo stile
sono sollecitate dall’innovazione tecnolo-
gica, in questo ambito rappresentata dalla
diffusione del digitale. Lo shop-online sta
infatti trasformando il sistema di distribu-
zione rendendo gli showroom un luogo
funzionale alla necessaria valorizzazione
del brand, dove vivere “l’esperienza”
dello stile, mentre il processo fisico della
vendita avviene attraverso più comode
modalità. Caso straordinario infine quello
di Steve Jobs, per molti “il” visionario
in assoluto, il quale, definendo i canoni di
bellezza dell’elettronica di consumo, l’ha
resa un must have mondiale. La i minuscola
– iPad, iMac, iPhone – è un segno di
appartenenza a uno stile che, con buona pace
dei competitor orientali, non ha uguali.
“La moda passa, lo stile resta”, diceva Coco
Chanel. “La moda riflette i tempi in cui
si vive, anche se, quando i tempi sono bana-
li, preferiamo dimenticarlo”. Diversi e
altrettanto significativi i casi di brand che,
attivi in precisi settori della moda, hanno
allargato il loro campo d’azione all’abbiglia-
mento, ottenendo enormi successi4.
Operazioni di marketing che, nel segno di
uno stile inconfondibile, hanno saputo
entrare e vincere in nuovi settori, “esportan-
dovi” l’originaria eccellenza dei materiali
e delle lavorazioni.
R
iflettendo su stile e produzione si finisce
giocoforza a parlare di mercato.
La quarta rivoluzione industriale è prossi-
ma: le forme della produzione sono in
continua evoluzione, così come, di conse-
guenza, i rapporti commerciali. I grandi
nomi citati ci ricordano che il capitalismo
si manifesta con nuove dinamiche, nuove
forme di aggregazione e che, per qualsiasi
azienda, il saper essere originali, oggi più
che mai, ha a che fare con l’identità e la
narrazione di sé e dei propri prodotti.
Storie che spesso riguardano personaggi in
cui si identificano le aziende stesse, i
cosiddetti testimonial, o altri che ne animano
le tappe di crescita fondamentali, interpreti
coerenti di uno stile. Le case produttrici,
nel panorama odierno estremamente
complicato e segnato da una forte compe-
titività, hanno l’esigenza sia di mantenere
la propria clientela, conquistata e fideliz-
zata grazie a uno stile ben preciso, sia di
acquisire nuove quote di mercato (l’export
e il contract sono parti fondamentali dei
loro fatturati) senza tuttavia stravolgere né
la loro immagine né lo stile che hanno
scelto. L’immobilità, per contro, è letale:
“Non importa se vai avanti piano, l’impor-
tante è che non ti fermi”, sentenziava
Confucio5. La lentezza viceversa è certamen-
te un lusso, ma è indispensabile per
elaborare compiutamente uno stile che non
rappresenti un exploit del momento, ma
un ponderato passo evolutivo. Esigenza
oltremodo sollecitata da un target cultural-
mente sfuggente, quello riconducibile ai
cosiddetti nuovi mercati, rispetto al quale
occorre definire linguaggi e forme di
comunicazione differenti. Se il sistema
moda, con i suoi ritmi rapidissimi, sembra
non fare in tempo ad avere paura, per altri
ambiti la questione è differente: la produzio-
ne di un nuovo prodotto richiede tempo
e sperimentazione, ovvero grossi investi-
menti. Questa la ragione per cui l’evoluzione
di uno stile si presenta con tempi lenti,
mentre risulta più evidente la battaglia
giocata sul dettaglio, sui materiali. Una
sfida che vuole comunque dire ricerca:
altra voce che dà allo stile una importante
dinamicità. Fare ricerca, innovare non è
un luogo comune. È un lavoro di squadra
che fa crescere l’azienda. Le industrie
del design sono strutture produttive ad alto
contenuto tecnologico. La ricerca e
l’impiego di materiali inediti, così come
l’abilità nel conferire nuove performance
ai materiali tradizionali, sono condizioni
fondamentali per poter parlare di evoluzione
degli stili, per migliorare e rendere maggior-
mente attraenti le invarianti estetiche di
ciascuna industria. Parlare dello stile di un
prodotto significa in realtà infatti parlare
dello stile di produzione di una certa azienda,
di come essa ha saputo organizzare i
processi di realizzazione, quindi, sintetiz-
zando, ambiente, sostenibilità, riciclo.
Altri tre vocaboli difficili cui però anche il
pubblico meno preparato è oramai
particolarmente sensibile. Oggi possiamo
sostenere che certificazioni, tracciabilità
delle materie, limitati consumi energetici
per la produzione, basso impatto ambien-
tale, cura della salute dei dipendenti, siano
tutti elementi che influiscono sulla defini-
zione dello stile di un’impresa e di conse-
guenza sul consenso per i suoi prodotti.
La “stile della produzione” determina infatti
un nuovo rapporto tra azienda e cliente.
Non si tratta più unicamente di un rappor-
to commerciale, smart o friendly che dir
si voglia, ma di stima e affetto reali. Se il
cliente è informato sull’attenzione dell’azien-
da per l’ambiente e per i suoi dipendenti,
è naturalmente portato a concederle la propria
fiducia. Lo “stile di produzione” è dunque
un altro importante messaggio che il
significante prodotto veicola: si acquista
perché si condividono determinati valori
etici. Estremizzando, il cliente diventa,
in certo senso, un nuovo membro della
“famiglia azienda”.
E
ntità misteriosa il pubblico: pluristrati-
ficato, difficile, volubile, distratto,
internazionale. Il suo orologio bio-econo-
mico è tachicardico, batte al ritmo della
moda6 che, dice Deyan Sudjic, direttore
del Design Museum di Londra “è la forma
più sviluppata di obsolescenza programma-
ta”. Dunque il suddetto pubblico, una volta
catturatane l’attenzione, non è detto che,
altrettanto rapidamente, non possa stancar-
si. Perché, come precisa Alberto Bassi,
saggista e docente allo IUAV di Venezia,
“alle principali ragioni che sono state per
lungo tempo alla base delle nostre scelte,
e cioè da una parte l’efficacia funzionale,
tecnica e di rendimento, dall’altra la
qualità estetica e realizzatavi dei prodotti,
si è affiancata l’esigenza di dimostrare
l’acquisizione di status symbol attestanti
una condizione economico-sociale,
o di style symbol, a prova di una particolare
condizione culturale ed esistenziale”.
C
on quale stile dunque decideremo di
comunicare un nuovo prodotto? Se
lo stile ha a che fare con la narrazione della
identità aziendale e di prodotto, oggi è
fondamentale sapere scegliere come, in
quale/i modo/i operare: determinare cioè
quale sarà lo stile più adatto a veicolare
efficacemente quella specifica identità.
La nascita e il diffondersi a livello planeta-
rio della grande rete-ragnatela dei nuovi
media impone alle aziende una diversa
riflessione sulla comunicazione del proprio
stile. Si tratta di una nuova sfida in quanto
la struttura stessa del web, il suo essere un
parente spurio della televisione, della radio
e della parola scritta costringe a inventare
nuove forme/format nei quali spesso adottare
un nuovo stile non è semplice. Certo, la
rete è veloce, superficiale: è da guardare.
La parola sopravvive, ma l’immagine è
predominante.
P
er “comunicare lo stile” ci vuole
insomma un “nuovo stile di comunica-
zione”, o meglio, l’esistente va aggiornato,
integrato, adattato al mondo nuovo.
Perché lo stile nella sua essenza è sempre
lì, insieme di fattori fisici e immateriali,
forma e visione, la pelle di un oggetto e l’aura
che lo circonda e che spesso lo rende
desiderabile. Oggi non basta più descrive-
re un oggetto, farlo vedere in ogni partico-
lare. Ciò che tutti desiderano, si è detto,
è vivere un’esperienza, meglio se unica.
Il mondo bidimensionale e immobile della
foto, anche di quella “d’autore”, è diventa-
to piccolo e il prodotto di design per farsi
conoscere, esperire, deve trovare altri luoghi,
altri mondi, o quantomeno immagini di
mondi, in cui posizionarsi.
La strada dell’esperienza culturale è una
auspicabile scelta di stile nella comunica-
zione, da prefigurare come un investimento
a medio/lungo termine. Per avere risultati
significativi esiste tuttavia una discrimi-
nante a monte ovvero che tale esperienza
affondi nel DNA stilistico dell’azienda,
in un patrimonio preesistente di esperienze
e visioni autentiche. Condizione fonda-
mentale perché le attività di promozione
culturale possano poi rivelarsi spunto di
riflessione e motivo di stimolo. Solo il tempo
aiuterà a riconoscerne gli effetti concreti.
L’evoluzione dello stile:
la ricerca, il progetto,
l’esperienza culturale.
A cura di Rimadesio
1. “Sotto l’egida d’una parola altamente impe-
gnativa, ‘Stile’, si inizia una indicazione di opere
d’architettura e d’arredamento, e anche di disegni,
e di opere di pittura e di scultura”. Così Gio Ponti,
nel gennaio 1941, presentava il primo numero di
“Lo Stile nella casa e nell’arredamento”, il mensile
“di idee, di vita, d’avvenire, e soprattutto d’arte” da
lui creato e diretto fi no al 1947.
2. È stato il fi losofo tedesco Walter Benjamin a
rifl ettere sull’aura, intesa come unicità dell’opera
d’arte, e sulla sua scomparsa dovuta alla diffusione
della riproduzione meccanica che dell’opera stessa
si può avere grazie alla fotografi a. Nel suo celebre
saggio “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproduci-
bilità tecnica”, Nuovo Politecnico, Einaudi 1966.
3. È stata annunciata a dicembre direttamente da
Sergio Marchionne la partnership tra Alfa Romeo e il
team elvetico di Formula Uno Sauber che di fatto
sancisce il ritorno del marchio automobilistico alle
competizioni dopo oltre 30 anni.
4. Esempi illuminanti, provenienti tutti dalla alta
pelletteria: Louis Vuitton, Prada, Fendi, Trussardi.
5. Confucio (551 a.C.–479 a.C.), non esistono testi
da lui direttamente scritti. Le sue celebri frasi e gli
aforismi sono stati organizzati in un testo – I Dialoghi
– dagli allievi che li avevano raccolti oralmente dal
maestro.
6. Moda. Entriamo in un campo di discussione
davvero ampio: se di design accettiamo la traduzione
letterale, cioè “progetto”, allora dobbiamo accet-
tare che tutto il sistema di oggetti e simboli in cui
viviamo sia “design”, perché, senza dubbio alcuno,
ogni cosa è stata pensata (progettata) per assolvere
a determinati compiti. Ma il design è solo questo? E
la moda ci basta defi nirla come tendenza dominan-
te e passeggera che infl uenza il modo di vita e le
abitudini di un certo periodo storico? Parafrasando
Dino Formaggio che diceva “Arte è tutto ciò che gli
uomini chiamano arte”, viene da chiedersi se “Moda”
non sia tutto ciò che gli uomini chiamano moda; non
volendo così risolvere la questione con una battuta,
ma semplicemente sottolineare che la moda, come
l’arte e in fondo il design, è strettamente correlata ai
periodi storici in cui nasce, si sviluppa, decade per
poi tornare diversa e uguale.