Stories and Matters
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Ecologia
T
ra le città invisibili di Italo Calvino,
c’è anche Leonia1, una città che ogni
giorno rifà se stessa: produce, accumula e
getta via. Il risultato è che “ogni anno la
città s’espande, e gli immondezzai devono
arretrare più lontano; l’imponenza del
gettito aumenta e le cataste s’innalzano, si
stratifi cano, si dispiegano su un perimetro
più vasto. [...] È una fortezza di rimasugli
indistruttibili che circonda Leonia, la
sovrasta da ogni lato come un acrocoro
di montagne. [...] Più ne cresce l’altezza,
più incombe il pericolo delle frane: basta
che un barattolo, un vecchio pneumatico,
un fi asco spagliato rotoli dalla parte di
Leonia e una valanga di scarpe spaiate,
calendari d’anni trascorsi, fi ori secchi
sommergerà la città nel proprio passato
che invano tentava di respingere, mesco-
lato con quello delle altre città limitrofe,
fi nalmente monde: un cataclisma spianerà
la sordida catena montuosa, cancellerà ogni
traccia della metropoli sempre vestita
a nuovo”. Una città-simbolo di un mondo
che Calvino estremizza, per metterne
in luce gli elementi contraddittori e poten-
zialmente catastrofi ci. Ma non si tratta
solo di una lugubre profezia: il 20 dicembre
2015 a Shenzhen, nella Cina Meridionale,
una collina di rifi uti alta 100 metri è franata
sotto la pioggia battente, travolgendo de-
cine di costruzioni e seppellendo almeno
85 persone. La collina esisteva da appena
due anni ed era in continua ascesa: vi ve-
nivano impilati i detriti prodotti dal boom
dell’edilizia.
Italo Calvino scrisse di Leonia nel 1972,
ovvero negli anni in cui la preoccupazione
per le conseguenze del nostro modello di
sviluppo economico e di consumo iniziava
a farsi largo, anche tra il grande pubblico,
portando alla ribalta, trasformandola, la
nozione stessa di ecologia. Lo scienziato
Ernst Haeckel ha coniato il termine nel 1866,
defi nendola come “la scienza dell’insieme
dei rapporti degli organismi col mondo
esteriore”.
L
’idea che il “mondo esteriore” possa
essere trasformato su grande scala
dall’intervento dell’uomo non è così recente.
Nel 1695 il naturalista John Woodward
Williamson sostenne che il disboscamen-
to e la coltivazione a opera dei coloni in
Nord America aveva permesso di miglio-
rare la qualità dell’aria. Nei decenni a
seguire divenne una credenza comune che
gli inverni meno severi e le estati più miti
fossero il frutto benefi co della deforesta-
zione. La concezione medievale del mon-
do animale e della natura, come qualcosa
di misterioso e altro da noi, dominato
da forze magiche o religiose, irrazionali e
incontrollabili, aveva lasciato il posto alla
convinzione che il genere umano potesse,
grazie alla scienza e alla tecnica, dominare,
disporre e trasformare a proprio piaci-
mento l’ambiente circostante, e che questo
fosse a benefi cio delle “magnifi che sorti
e progressive” dell’uomo. Fu solo nel XX
secolo che il giudizio circa l’impatto
della specie umana cominciò a cambiare
di segno, fi no ad alimentare il timore
che l’ecosistema potesse risultarne irrime-
diabilmente sconvolto, senza un punto
di ritorno. Nel 1938 l’ingegnere Guy Stewart
Callendar analizzò il contestuale innal-
zamento delle temperature e della concen-
trazione di biossido di carbonio nell’aria,
avanzando l’ipotesi che alla base di questa
correlazione ci fosse un nesso causale.
Fu una delle prime “registrazioni” delle
trasformazioni dell’ambiente.
Nei decenni successivi, nonostante il
dibattito sull’effettivo nesso di causalità,
crebbero in diverse discipline i riscontri
empirici delle conseguenze dell’impatto
sull’ambiente, a tal punto da alimentare
il sospetto che l’impronta dell’uomo stesse
diventando così profonda da sfi dare le
forze della natura nello scandire il funzio-
namento del pianeta. Nel 2000 il premio
Nobel per la chimica Paul Crutzen e il
biologo Eugene F. Stoermer proposero alla
comunità scientifi ca di adottare il termi-
ne Antropocene2: l’impatto dell’uomo era
stato così forte da avere segnato l’inizio di
una vera e propria epoca geologica, di-
stinta dall’Olocene. Sedici anni più tardi
un gruppo internazionale di scienziati
del British Geological Survey, è arrivato
a datarne l’inizio alla metà del XX secolo
sulla base di un’ampia gamma di marcatori
antropici e di variazioni funzionali del
sistema Terra presenti nelle registrazioni
stratigrafi che. L’uffi cializzazione dell’An-
tropocene come nuova era geologica è ora
al vaglio dell’Unione Internazionale
delle Scienze Geologiche, ma a prescinde-
re dall’esito, l’idea che l’intervento umano
abbia potuto cambiare irrimediabilmente
il clima, l’evoluzione delle specie e addi-
rittura le ere geologiche è stata scientifi ca-
mente e politicamente dirompente.
I
processi di decolonizzazione e di indu-
strializzazione dei paesi del cosiddetto
terzo mondo hanno accelerato e reso
evidenti i limiti di crescita della civiltà
industriale. Come sostiene lo scrittore
indiano Amitav Ghosh, paradossalmente
il predominio geopolitico di una man-
ciata di potenze europee sul resto del
mondo, basato sullo sfruttamento delle
risorse naturali a benefi cio di una piccola
porzione degli abitanti del pianeta, ha
ritardato l’avvento della crisi climatica. La
rincorsa all’industrializzazione, o “gran-
de accelerazione”, ha messo in crisi la
sostenibilità del modello economico nato
con la rivoluzione industriale, e che ora,
inseguito da tutti, rischia di trascinare con
sé la promessa di crescita e sviluppo che
lo sosteneva.
Il crescente fabbisogno di energia a livello
globale è intensifi cato dall'aumento della
popolazione: oggi 7.3 miliardi di persone
consumano circa 14 miliardi di tonnel-
late equivalenti di petrolio. Secondo le
proiezioni contenute nell’Energy Outlook
2017 della BP, entro il 2035 il PIL globale
raddoppierà per il 25% come conseguenza
dell’aumento della popolazione mondiale
(+1.5 miliardi di unità), per il 75% per la
crescita economica. La domanda di energia
crescerà del 30%.
Per mantenere la Terra nel suo stato di
equilibrio, l’energia assorbita deve essere
bilanciata da un’uguale quantità di energia
emessa verso lo spazio dalla superfi cie
terrestre e dall’atmosfera sotto forma di
radiazione.
S
e non si vuole rinunciare al livello di
benessere raggiunto da fasce numeri-
camente minoritarie di abitanti del pianeta
e impedire che gli altri possano aspirarvi,
l’unico modo per rendere sostenibile il trend
di crescita è trovare contemporaneamente
un nuovo modello basato su fonti di energia
rinnovabili e pulite e uno stile di vita che
richieda un minore consumo di risorse.
L
e fonti di energia sono defi nibili
rinnovabili e pulite in contrapposi-
zione ai combustibili fossili (ad es. gas,
petrolio e carbone): rinnovabili in quanto
inesauribili e pulite perché non rilasciano
nell’ambiente sostanze inquinanti. La pos-
sibilità che il sole, il vento e l’acqua siano
utilizzati come fonti di energia, richiede la
ricerca e lo sviluppo di tecnologie che ne
consentano l’impiego su larga scala, con costi
di produzione competitivi. Secondo il rap-
porto Global Trends in Renewable Energy
Investment 20173, curato dall’UNEP, le
risorse destinate alle energie rinnovabili nel
2016 hanno coperto ben il 58% del totale
di investimenti nel settore energetico.
Tra il 2015 e il 2016 la capacità installata
di energia rinnovabile è aumentata
del 14% passando da 127,5 a 138,5 GW
e arrivando così a costituire ben il 55,3%
dell’aumento della capacità di produzione
energetica globale. Se nel 2011 le rinnova-
bili coprivano il 6,9% della produzione di
elettricità, nel 2015 si è saliti al 10,3%
e nel 2016 a 11.3%, impedendo così l’emis-
sione nell’atmosfera di 1,7 gigatonnellate
di anidride carbonica. Negli ultimi anni la
produzione di anidride carbonica si è man-
tenuta costante nonostante l’aumento nei
consumi di energia, contro il tasso medio
annuo del +2,2%, registrato nel decennio
precedente. Tutto questo è avvenuto in
presenza di una contrazione degli investimen-
ti nelle rinnovabili del 23% tra il 2015
e il 2016, a testimoniare l’abbattimento
nei costi di produzione. Secondo Erik
Solheim, direttore esecutivo dell’UNEP,
“Le tecnologie pulite non sono mai state
così economiche: per gli investitori ciò
rappresenta una reale opportunità
di ottenere di più con meno. Questo è
esattamente il tipo di situazione in cui
gli interessi del profi tto e quelli delle per-
sone coincidono, il che consente di
sperare in un mondo migliore per tutti”.
L’energia fotovoltaica, l’energia eolica,
l’energia idrica, l’energia geotermica e l’ener-
gia da biomasse sono oggi realtà main-
stream, commerciabili a costi competitivi.
Esistono poi fonti dagli enormi potenziali,
tuttora in fase di sperimentazione. Quella
più suggestiva è probabilmente l’energia
marina, ovvero la possibilità di utilizzare
come fonte di energia gli oceani, che co-
prono i tre quarti della superfi cie terrestre,
sfruttando le maree, le correnti marine,
il moto ondoso, la differenza di salinità in
prossimità delle foci dei fi umi (energia
osmotica) o addirittura la differenza di
temperatura tra la superfi cie marina e
le profondità oceaniche (energia talas-
sotermica). Il potenziale teorico del solo
moto ondoso è immenso: secondo quanto
stimato nel 2010 da un gruppo di scienziati
diretto da Mørk, si tratterebbe di 32 PW
annui, ovvero quasi il doppio dell’energia
elettrica prodotta nel 2008.
Le maree, causate dalle forze gravitazionali
prodotte dal movimento relativo della
Terra, della Luna e del Sole, consistono in
un’escursione fra il massimo e il minimo
livello del mare, che può essere sfruttato
per produrre energia elettrica attraverso
delle turbine. Le maree hanno il vantaggio
di essere regolari e prevedibili. MeyGen4
è il più grande progetto mondiale di sfrutta-
mento delle maree. Presentato nel 2007,
si pone l’obiettivo di produrre 398 MW
di potenza installata, attraverso 269 turbine
sottomarine nello stretto delle Orcadi, in
Scozia. L’energia prodotta coprirà il
fabbisogno di 175.000 abitazioni. Nell’a-
gosto del 2017, con la posa della quarta
turbina, è stata completata la fase 1A del
progetto, stabilendo il record mondiale
con una produzione mensile di 700 MWh.
Nel novembre del 2009 è stata inaugurata
la prima centrale osmotica del mondo, sul
fi ordo di Oslo. Si tratta di un prototipo
della Statkraft, società norvegese leader
nel settore dell’energia, che ha lo scopo
spianare la strada a un futuro impiego
industriale.
S
e le fonti di energia rinnovabile e pulita
sono una realtà, costruire un modello
economico sostenibile, che permetta a un
numero sempre crescente di esseri umani
di perseguire e aspirare al benessere,
signifi ca pensare a interi fl ussi e processi
complessi e interdipendenti, di cui le tec-
nologie di produzione di energia sono solo
il carburante, in grado di integrarsi, senza
distruggerli, con gli ambienti e i processi
circostanti. La pubblicazione ONU “Wor-
ld Urbanization Prospects 2014” prevede
che entro il 2050 il 66% della popolazione
mondiale risiederà in aree urbane, contro
il 30% del 1950 e il 54% del 2014.
Ricostruire un equilibrio tra l’uomo e il
pianeta e rendere sostenibile la nostra pre-
senza sulla terra, non può dunque prescin-
dere da un focus sull’ambiente artifi ciale
per antonomasia: la città. È possibile pensare
e progettare sistemi artifi ciali e complessi,
quali le città, o perfi no le megalopoli, a
impatto zero?
Come scrive l'architetto William McDo-
nough su LeScienze di settembre 2017,
“il modo in cui ripenseranno e riprogette-
ranno il paesaggio urbano infl uenzerà
il futuro della vita stessa”.
Le città generano fi no al 70% delle emis-
sioni globali di anidride carbonica, usano
grandi quantità d’acqua e producono
montagne di rifi uti. Tutti i processi artifi -
ciali, ovvero frutto dell’opera dell’uomo,
so no stati pensati, sin dagli albori della
rivoluzione industriale, come processi
basati su un modello lineare di consumo:
si estraggono delle materie prime, le si
trasformano combinandole con l’energia e
il lavoro, si cede il prodotto a una succes-
siva fase di lavorazione fi no ad arrivare
all’utilizzatore fi nale, che lo getta quando
non serve più ai suoi scopi.
Leonia e le nostre città funzionano allo
stesso modo: si nutrono di prodotti
che arrivano dall’esterno (cibo, cemento,
acqua...), che vengono utilizzati e poi
rigettati verso discariche e inceneritori.
I sistemi naturali hanno un funzionamento
diverso, circolare, in cui non ci sono rifi uti
perché attraverso i cicli di nascita, decom-
posizione e rinascita, i nutrienti fl uiscono
perpetuamente in cicli rigenerativi.
I sistemi artifi ciali possono essere ridise-
gnati come sistemi circolari? Col primo
volume di Towards circular economy del
2012, la Ellen MacArthur Foundation,
ha iniziato a proporre alle imprese delle
strategie di business vincenti per una
transizione accelerata verso un’economia
circolare, in cui diminuiscano gli sprechi
di risorse nei processi di trasformazione e
circolazione, aumenti la durata dei prodotti
e gli scarti diventino materia prima per
altri processi.
Le città possono, in questo senso, giocare
un ruolo fondamentale: sono infatti centri
di innovazione, di creatività e di produ-
zione di ricchezza. Sono inoltre sistemi
complessi in cui fl ussi di beni, persone e ser-
vizi, nonché processi innescati da origini
diverse e per le funzioni più disparate,
inevitabilmente si intersecano e si infl uen-
zano l’un l’altro in un groviglio crescente
e una complessità sempre maggiore.
In quest’ottica la città è il milieu più favore-
vole all’economia circolare e a un ri-nasci-
mento dell’ecologia.
I
fl ussi di materiali che nutrono la città cir-
colare, vengono reintegrati nella biosfera
se si tratta di fl ussi biologici, oppure sono
destinati a essere rivalorizzati, nel caso di
fl ussi tecnici. A Vancouver le 200.000
tonnellate di rifi uti organici raccolti ogni
anno vengono utilizzate per produrre
metano e ammendanti utilizzati come
fertilizzanti per i terreni agricoli.
A Oslo si interviene, ancora prima, sull’e-
nergia dissipata lungo i fl ussi: il sobborgo
di Sanvika ha grandi scambiatori di calore
lungo le condutture fognarie che permet-
tono di catturare il calore e utilizzarlo per
riscaldare le case, o rinfrescarle, a seconda
della stagione. A Stoccolma il biogas pro-
dotto dal trattamento delle acque refl ue
fa circolare il 36% degli autobus cittadini.
In un’acciaieria bresciana, da ottobre
2016, il calore prodotto dal forno elettrico
non viene più disperso, ma utilizzato per
scaldare 2.500 abitazioni.
In natura non esistono rifi uti, al termine
del ciclo di vita gli organismi diventano
nutrienti. Anche nelle città i rifi uti posso-
no essere trasformati in linfa per nuovi
utilizzi. Secondo le parole dell’ingegne-
re Michael Webber, professore presso
l’Università di Austin, “messa in maniera
molto semplice i rifi uti sono quello che
abbiamo quando è fi nita l’immaginazio-
ne”. Kalunborg Symbiosis è un parco
industriale in Danimarca, in cui le aziende
coordinano i fl ussi di energia, acqua e
materiali. I prodotti secondari e i rifi uti
di un qualunque processo, dalle acque
refl ue al calore di recupero, fi no all’etanolo,
diventano materiali da utilizzare per un altro
processo, connessi tra di loro da tubazioni,
cavi e condutture che trasportano avanti
e indietro vapori, gas, elettricità e acqua.
N
ella città circolare anche l’urbanistica
ha un ruolo importante: viene meno
la necessità di una divisione spaziale delle
attività e delle abitazioni dettata dalla
preoccupazione per lavorazioni nocive per
la salute o inquinanti, e così i luoghi
di lavoro e i centri per la trasformazione
dei rifi uti in energia possono sorgere
all’interno di quartieri residenziali, al
fi anco di scuole, edifi ci pubblici e negozi
di alimentari. I quartieri si trasformereb-
bero allora in veri e propri organismi che
vivono in simbiosi con le zone limitrofe.
Ci sarebbe anche meno necessità di spo-
starsi, riducendo così l’energia necessaria
per la circolazione e il tempo sprecato
per muoversi. Gli architetti possono già
oggi progettare edifi ci a impatto zero e
energeticamente indipendenti, utilizzando
materiali eco-sostenibili e destinati
a durare, organizzando le dimensioni, la
struttura, l’orientamento e gli interni
in modo da sfruttare al massimo la luce
solare e la ventilazione naturale.
Gli edifi ci delle città circolari, racconta
William McDonough5, “funzionano come
gli alberi: catturano carbonio, producono
ossigeno, distillano acqua, offrono un
habitat a migliaia di specie e sfruttano la
fonte solare per le proprie esigenze termi-
che e elettriche”.
Accanto alla tecnologia e alla progettazione,
sarà necessaria anche una narrazione
capace di raccontare i nuovi stili di vita
delle città circolari, di immaginarne e
descriverne gli spazi, le architetture, gli
oggetti, gli arredi; di creare modelli di
consumo e di relazioni, modalità di mo-
vimento e stili desiderabili e appaganti.
Una narrazione in grado di disegnare la
transizione a un nuovo ambiente artifi ciale,
affi nchè Leonia possa essere custodita nei
libri, come monito della città che avrebbe
potuto essere, ma che abbiamo deciso di
costruire diversamente.
Nuovi modelli di sviluppo.
Dalla rivoluzione industriale
al rinascimento dell'ecologia.
A cura di Rimadesio
1. Leonia fa parte del romanzo di Italo Calvino
Le città invisibili, pubblicato da Einaudi nel 1972.
2. Antropocene è un termine coniato negli anni
ottanta dal biologo Eugene Stoermer. Fu adottato dal
Premio Nobel per la chimica Paul Crutzen nel libro
Benvenuti nell'Antropocene. L'uomo ha cambiato il
clima, la Terra entra in una nuova era, Mondadori,
2005.
3. Global Trends in Renewable Energy Investment
2017, è stato pubblicato dall'UN Environment,
the Frankfurt School-UNEP Collaborating Centre,
e Bloomberg New Energy Finance.
4. MeyGen (nome completo MeyGen tidal energy
project) è la più grande pianta di energia a marea
mondiale che è attualmente in costruzione. Il progetto
utilizza quattro turbine da 1,5 megawatt con turbine
di diametro del rotore da 16 metri sommerse sul fondo
marino. Il progetto è di proprietà e gestito da Tidal
Power Scotland Limited e Scottish Enterprise.
5. William McDonough è un designer americano,
consulente, autore e leader di pensiero. Tra le sue tante
attività (o "inoltre" nel caso usassi "in addition"),
McDonough è il coautore di Cradle to Cradle con
Michael Braungart, ha rimaneggiato The Way We
Make Things, North Point Press Publisher, 2003 e
The Upcycle: Beyond Sustainability – Designing
for Abundance, North Point Press Publisher, 2013.