il piano di un tavolo: considerando che
in un 1 metro quadro di pavimento entrano
fino a 100 elementi, nella superfice media di
un’abitazione (100 mq) gli elementi possono
arrivare a 10.000. Risulta quindi centrata
l’idea di un prodotto di serialità diversificata,
dove i quantitativi giustificano la cura che
viene dedicata al dettaglio e allo stesso
tempo motivano lo sviluppo di un’attrezzatura
sofisticata anche per una produzione robotizzata.
Margaritelli riconosce alla progettista la capacità
di convincimento necessaria a un importante
passo avanti dell’azienda sul terreno della
tecnologia, un avanzamento che altrimenti
non ci sarebbe stato o avrebbe richiesto
forse molto più tempo per avverarsi: del resto
Patricia Urquiola è nota proprio per aver saputo
introdurre nelle logiche trasformistiche del
design in Italia uno “spirito allegro” fortemente
legato al suo forte carattere espansivo, al suo
finishing. It wasn’t the designer who
adapted to the technique and machines, but
rather the other way round. Instead of mass-
production machining, where the material
emerges from the manufacturing chain
standardised by a single robotised procedure,
the product’s manipulation is closer to that of a
one-off piece or small-run edition. Numerical-
control processes are applied all around the
edges of the wooden boards, and each
component is reworked several times – as can
happen for the legs of a chair or tabletop.
Considering that
1 square metre of flooring comprises up to
100 elements, the average surface of a house
(100 square metres) can include up to 10,000
elements. This highlighted the suitability of
employing a diversified mass-production
process, where the quantities justify the great
attention to detail, while also motivating the
Biscuit n.05 large,
Civita 1695, Rovere di Fontaines /
DESIGN: Patricia Urquiola
Biscuit n.05 large,
Civita 1695, Rovere di Fontaines /
conceptual sketch /
DESIGN: Patricia Urquiola
LUOGO: Fundació Kālida - Barcelona
PROGETTO: Miralles Tagliabue EMBT /
Biscuit,
DESIGN: Patricia Urquiola
PLACE: Fundació Kālida - Barcelona
PROJECT: Miralles Tagliabue EMBT /
Biscuit,
DESIGN: Patricia Urquiola
Biscuit n.05 large,
DESIGN: Patricia Urquiola
Biscuit n.05 large,
DESIGN: Patricia Urquiola
— Biscuit
Patricia Urquiola
L’ingegner Aureliano Camelia in tanti anni aveva già lavorato
con molti progettisti ma si era finalmente deciso ad un’esperienza
diversa, per rinnovare il portfolio della sua azienda vivaistica -
già molto ricco di importanti realizzazioni internazionali.
Non era una novità che alla vecchia scuola di paesaggisti
aristocratici si aggiungessero da tempo progettiste donne, di più
fresca ispirazione: ma era la prima volta che Camelia si preparava
a collaborare con una di loro, tra le più stimate in un mondo
che non faceva sconti a chi non avesse, oltre all’ingegno creativo,
una vera conoscenza tecnica e un amore smisurato per alberi,
piante e fiori.
Un giardino, un parco, sono mondi delicati e insieme spietati,
regni magici dove Natura e Artificio si combattono per la
prevalenza dell’uno sull’altro. E solo quando si uniscono in nozze
alchemiche il semplice amatore e/o l’esperto progettista possono
godere dei fiori e dei frutti che ne nascono.
Del resto, Aureliano sapeva che già il suo nome di famiglia
conteneva un presagio sulla difficoltà del crescere e sbocciare,
simboleggiato da quella curiosa pianta nipponica: che se non vive
in un habitat progettato e seguito con cura rimarrà un arbusto
capriccioso, rigoglioso ma sterile, che più del verde scurissimo
e lucido delle foglie non regalerà al giardiniere inesperto.
Con questi pensieri in mente, l’ingegnere suonò il campanello
al portone del palazzo Liberty dove aveva studio a Milano
Patricia Urquiola.
Camelia non se l’aspettava, ma ad aprire il bel portone in legno
e ferro battuto venne proprio lei. Gli strinse la mano con forza,
lo fece entrare nella bella corte e da lì in studio. Avevano parlato
all’ingegnere di un ufficio abbastanza grande, un open space con
molti collaboratori indaffarati e dove inevitabilmente telefonate,
discussioni e altri suoni si sovrapponevano e risuonavano in una
simpatica cacofonia.
A DESIGN STORY - Patricia Urquiola
02
03
Aumentò quindi lo stupore di Camelia quando si trovò in uno
studio completamente vuoto, perfettamente in ordine, con tutte
le apparecchiature spente, non una persona al lavoro e la sola
Urquiola a riceverlo.
“Carissimo, non se debe estupire” iniziò Patricia, con la sua
simpatia e il suo inconfondibile accento spagnolo, che in tanti anni
a Milano non aveva mai perso: “Oggi si sposa una nostra carissima
collaboratrice e tutti sono andati alla festa.
Io sto qui a lavorare, certi committenti non aspettano” spiegò
con il grande sorriso, più una risata contagiosa, per cui era famosa.
“Non le dispiace se le faccio strada io? Andiamo in biblioteca,
che dice, ingegnere?”
Camelia iniziò a seguirla e - mentre lei non smetteva di parlare,
praticamente di tutto - osservò che lo studio era davvero bello,
organizzato su più livelli con un’accorta ristrutturazione:
ma in qualche modo Patricia era riuscita a conservarlo nella sua
atmosfera originale, con residui del dècor Liberty come qualche
vetrata alle finestre, corrimani e ringhiere in ferro battuto
e perfino qualche lampada a sospensione originale. Per il resto
dominavano colori chiari, negli arredi mobili, nelle pareti,
nei soffitti e perfino nel pavimento, di listoni di legno verniciato.
La sequenza delle stanze e degli spazi continuava e non sembrava
finire più.
Camelia cominciava a chiedersi dove potesse essere la biblioteca,
quando finalmente Patricia aprì una porticina (porticina
se rapportata all’altezza dello spazio, che in quel corridoio
curiosamente si alzava a più di quattro metri) e lo fece entrare
in una grande stanza circolare.
Era ancora più alta dell’ultimo corridoio da cui erano passati, con
strani tendaggi rosa alle pareti: strani perché la stanza non aveva
finestre, ma la luce entrava da una vetrata aperta nel soffitto
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