Ha senso in un mercato saturo e soffe-
rente lanciare una nuova collezione di
arredi?
Sì, se il progetto esce dai consueti
confini della disciplina del design che
definiscono i parametri stilistici ai quali
attenersi. Sì, se al posto della coerenza si
privilegia il suo contrario. Sì, se si sceglie
di abbandonare l’idea consolidata del fil
rouge che tiene assieme esteticamente
le diverse tipologie di prodotto. Poiché
esiste una nutrita produzione di pezzi
rigorosi, di collezioni orchestrate sulla
medesima tonalità figurativa, fondata sul
concetto di omogeneità segnica e cro-
matica, scegliere di costruire un insieme
composto d’identità singolari, ciascuna
con la propria originale sagoma, signi-
fica introdurre il seme di un possibile
mutamento di gusto in un settore incline
alla moderazione più che all’accesso,
all’ordine più che al disordine, alla regola
più che alla sua eccezione. La collezione
è un compendio di stilemi, che rivelano
velate analogie con opere contempora-
nee, risolti in versione inedita, quasi che
il nuovo cercasse radici nell’esistente per
germogliare con fioriture impreviste ma,
in qualche misura, familiari. Il processo,
più che di costruzione, appare di scarni-
ficazione per mettere a nudo l’essenza
degli oggetti: fasce elastiche costitui-
scono la scocca di una seduta; griglie
metalliche dorate disegnano un elegante
divano, lontano parente di un Chester,
che è solo scheletro; il classico divano in
pelle, dalle forme morbide, rivela dal ri-
vestimento slabbrato un’anima fantasia;
mentre l’esile sedia con l’alto schienale
impettito distende la sua seduta in lungo
tappeto per trasformarsi in trono do-
mestico. E ancora un gomitolo arruffato
diventa una poltrona nido, mentre un
aulico trofeo dorato, issato su un piedi-
stallo, funge da regale attaccapanni.
Ogni pezzo possiede una sorta di
doppia identità che rende speciale il
suo disegno. L’alchimia della collezio-
ne consiste nel talento narrativo dei
prodotti, in grado, pur nella loro scarna
architettura, di evocare storie auliche e
fiabesche. Il racconto domestico diven-
ta drammaturgia.
Cristina Morozzi
Domestic
dramatourgy