46 FLEXFORM | PAPER
Tracce del tempo. L’edificio era in origine un calzaturificio. Pavimento in cemento e muro in mattoni
sono originali e creano un piacevole contrasto con la scelta degli arredi connotati da linee essenziali
come la poltrona Marley e il divano Bretton. | Traces of time. The building originally housed a shoe
factory. The concrete flooring and brick walls are original and contrast beautifully with the sleek lines
of the furnishings, like the Marley armchair and Bretton sofa.
P
er capire un luogo spesso è
utile conoscerne un po’ la sto-
ria. È il caso di Milano, città
che prima di essere il motore
dell’economia italiana è stata
uno straordinario terreno di
sperimentazioni urbanistiche
e sociali: ed è proprio da queste radici che nasce
il suo presente. Scorrendo i dati dei vari cen-
simenti della sua popolazione si rimane colpiti
dall’aumento vertiginoso di abitanti a caval-
lo tra diciannovesimo e ventesimo secolo: nel
1881 erano 354.045, nel 1936 erano triplicati
(1.115.794). In quei cinquant’anni nasceva la
Milano moderna.
Nel 1886 veniva inaugurata in città la prima
centrale elettrica d’Europa. Le attività industria-
li crescevano a ritmo incalzante. Arrivavano la-
voratori da tutto il Paese, si costruivano edifici
per alloggiarli, i confini della città si allargavano.
Dove c’erano campi nascevano fabbriche, come
l’edificio che ospita la casa di queste pagine: un
calzaturificio costruito nel 1911, lo stesso anno in
cui Umberto Boccioni dipingeva uno dei capola-
vori del Futurismo: La città che sale. Non era un
caso che il Futurismo fosse nato proprio a Mi-
lano, appena due anni prima. Era l’alba dell’Età
delle Macchine, e quest’architettura pensata a
fini produttivi, senza ornamenti né preziosità,
era parte integrante del nuovo panorama urbano
e ne disegnava l’estetica rivoluzionaria. Un’epoca
senza precedenti.
Col tempo lo stabilimento, persa la sua fun-
zione industriale, aveva cambiato fisionomia.
Aveva ospitato laboratori e officine, negli anni
’50 gli era stata aggiunta nuova cubatura. E ar-
riviamo ai nostri giorni. La zona in cui sorge,
Porta Romana, non è più considerata periferi-
ca, come accadeva un secolo fa. Tutt’altro. E i
codici estetici contemporanei hanno dato un
nuovo significato, con l’idea del loft, alle vecchie
architetture industriali. Parte così un progetto
di valorizzazione firmato dallo studio milane-
se Mingotti Giordano Architetti, che decide di
eliminare le aggiunte del dopoguerra e di ripri-
stinare il cortile con pergola all’ingresso. Una
volta recuperato l’aspetto originale dell’involu-
cro, l’attenzione si sposta sugli interni. Il muro
perimetrale in mattoni viene accuratamente
restaurato, così come il pavimento in cemento
rullato. Per tutte le strutture portanti vengono
mantenuti i rivestimenti originali, coperti da
un sottile strato di resina protettiva. La coper-
tura a shed viene riportata alla sua piena fun-
zionalità, le finestre ripulite.
La scelta di stile è chiarissima: trasformare il
modo in cui questo spazio viene utilizzato (non
più attività produttiva ma vita domestica quo-
tidiana) conservando il suo spirito originario.
Dandogli una nota di raffinatezza che prima
non aveva mai avuto. Quindi il cemento dei pa-
vimenti viene scaldato con tappeti, la verticalità
della luce diurna zenitale che arriva dagli shed
a soffitto è stata integrata con stripled nasco-
sti dietro mobili e nei dettagli di questo guscio
architettonico. La necessità di creare ambienti
separati e più intimi per spazi legati a funzio-
ni specifiche (camera, bagno) è stata risolta in
modo brillante creando una “scatola” rivestita
in noce canaletto, essenza pregiata che contra-
sta piacevolmente, scaldandola, con la ruvidez-
za estetica della struttura industriale.
Il gioco, a quel punto, è diventato sempre
più raffinato: se i pilastri sono stati lasciati con
il vecchio smalto originale e lo zoccolo grigio,
il bagno è stato rivestito in marmo Verde Alpi.
E la cucina a isola, accostata a questa nuova
micro-architettura, è stata realizzata recupe-
rando il bancone anni ’50 proveniente da un
bar. L’idea di creare uno spazio nello spazio
dove concentrare tutte le necessità abitative
permette di lasciare tutto il resto libero, come
se fosse un grande living a pianta aperta inte-
ramente dedicato al relax e alla convivialità:
ed è proprio questo uno dei punti di fascino di
questo spazio atipico, dove i volumi imponenti
e l’assenza di decori nella struttura permetto-
no una libertà negli accostamenti stilistici e
di epoche che altrove sarebbe sicuramente più
difficile. Se non impossibile.
Sul loro sito, gli architetti citano una frase
di Renzo Mongiardino: “La casa non è un’in-
venzione, è sempre lo stesso rifugio dove l’uomo
ha bisogno di riparare perché è stanco, perché
ha fame, perché ha sonno”. Una citazione che
colpisce pensando che Mongiardino è stato, an-
che e soprattutto, un creatore di scenografie. E
qui parla di funzioni basilari. Non è un caso. In
tutto il lavoro di Mongiardino, come del resto in
questo progetto, si parte dall’essenziale per poi
rivestirlo con abiti di fantasia, osando contrasti
e accostamenti magari non ortodossi. Creando,
così, un ambiente in cui vivere ha un sapore
speciale. E diventa esperienza irripetibile.