modamente, apprezzando la morbidezza del pelo e distribuendosi
lungo le anse lasciate dal corpo. Ma quello che mi colpisce di più
è osservarlo lungo le ore della giornata, perché quella montagna
bianca, pur restando immobile, cambia continuamente con la luce
e il colore del cielo, scandendo il tempo interiore della casa come
se fosse una meridiana anomala. Ogni giorno mi chiedo se, dopo
l’inverno, l’amico orso rimarrà ancora a casa mia.
ATTO II
Il tempo nella nostra vita e negli ambienti che abitiamo e attraver-
siamo è una variante potente e spesso invisibile. Non la vediamo
quasi, indaffarati a correre da un posto all’altro, eppure è quella
materia necessaria che scolpisce silenziosamente gli oggetti e gli
ambienti che viviamo e che ci suggerisce il ritmo da dare alla nostra
giornata, alle relazioni e ai pensieri.
Ogni stanza delle nostre case si presta a diventare clessidra e insie-
me meridiana, in cui però il tempo ha le varianti impazzite dell’o-
rologio del Cappellaio Matto di Alice, perché esistono il tempo del
cronometro e quello nostro corpo-mente, che non sempre sono
allineati. Se esercitiamo i sensi a giocare con il tempo e gli am-
bienti della casa possiamo entrare in un meraviglioso labirinto di
temporalità che si affiancano e convivono. In fondo passiamo un
terzo della nostra esistenza quotidiana nei vapori del sonno, dove il
tempo apparentemente svanisce; poi il bagno e il boudoir hanno il
potere di smaterializzare i minuti in frammenti di attenzione e pia-
cere per il nostro corpo; la cucina ha lo scandire rigoroso della cot-
tura e delle preparazioni, ma già nel soggiorno i tempi si moltipli-
cano tra un divano dove abbandonarsi, una seduta per una postura
più contenuta e regolare o la vista da una finestra in cui perdersi.
L’ingresso invece può anche essere uscita e ci proietta in un tempo
che è già pubblico e urbano. In tutti questi luoghi la luce che viene
da fuori ci aiuta a localizzarci nella vita della giornata, suggerendo
strategie diligenti o possibilità di fuga dalla realtà.
Queste sensazioni sono spesso ampliate a dismisura da alcune
esperienze artistiche che usano il tempo come materia a reazione
poetica, ricordandoci che il tempo delle emozioni, quello delle
azioni e la relazione con i luoghi e gli oggetti sono impastati tra di
loro e sono materia viva nella definizione della magia dei luoghi che
più amiamo e che abitiamo.
ATTO III
C’è il nodo di una cravatta con una decorazione a zig-zag rosso e
blu su camicia bianca che sembra un capitello paradossale di una
colonna anomala. Il collo della camicia è di un bianco impeccabile,
l’ombra che la cravatta proietta è netta e spietata, il pomo di Adamo
del proprietario appena accennato. Una monumentale poltrona di
tessuto con decorazione minuta di fiorellini rosa e verdi su campo
crema occupa il nostro campo visivo debordando dalla tela. Una
cassettiera è aperta nello scomparto centrale, all’interno non c’è
nulla se non un’ombra tagliente che denuncia l’assenza oltre che
le vene e i nodi del legno che l’ha originata. Una parete decorata
con una carta da parati a righe verticali verdi su fondo giallo, che
giace su un pavimento a scacchi bianchi e neri, lascia intravedere la
traccia di un quadro che non esiste più, un segno del tempo passa-
to, un’impronta di luce che ha sca-
vato la differenza nell’intensità del
colore lungo gli anni, ricordandoci
dell’assenza. Le tele di Domenico
Gnoli denunciano un’attesa quasi
snervante su qualcosa che non po-
trebbe mai accadere, marcando una
tensione che si fissa ossessivamente
sui frammenti minuti della nostra
esistenza. In ogni opera c’è l’eser-
cizio di una pratica quasi monastica
e razionale verso una forma di fissità
che è stupore per le cose che ci rac-
contano e che abitiamo senza accor-
gercene.
La sospensione del tempo ci pa-
ralizza e ci obbliga a guardare con
maggiore attenzione quello che a
malapena vediamo distrattamente. Il
paradosso è forzato per insegnarci a
guardare e a meravigliarci per quel-
lo che sembra invisibile. Ritrovo la
stessa sensazione di fronte alle foto
di Luigi Ghirri, probabilmente uno
dei fotografi più colti e spiazzan-
ti del nostro secondo dopoguerra,
quando, lungo gli anni, documen-
tò con costanza i due studi in via
Fondazza a Bologna e quello estivo
a Grizzana del pittore Giorgio Morandi, oltre che dell’abitazione-
studio dell’architetto Aldo Rossi.
In entrambi i casi la luce densa impasta ogni cosa e fissa gli oggetti
a un destino senza tempo che ci lascia senza parole. In quei ritratti
di case sentiamo ancora il calore di chi le ha abitate e vissute in-
tensamente, eppure le stesse immagini ci restituiscono un senso
di universalità e sospensione che disorientano. Riconosciamo per-
fettamente le bottiglie e i vasi del pittore bolognese, così come i
disegni alle pareti e i colori dell’architetto milanese. Percepiamo
un senso chiaro di appartenenza a una storia e a un luogo preci-
so, eppure la fissità delle stesse immagini impone una chiarezza di
“Cravate”
dipinto da Domenico Gnoli nel 1967.
painting by Domenico Gnoli, 1967.
themselves in the curves left by its body contours. But what is
most striking for is to watch it through the long hours of the days
because, although this white mountain is immobile, it constantly
changes with the light and the colour of the sky, marking an in-
terior time in the house like some improbable sundial. Each day
I wonder if my friend the bear will remain in our home after the
winter.
ACT II
Time is an invisible but powerful variable in our lives, in the
spaces we inhabit and pass through. We barely notice it, busy
running from one place to another, and yet this material is
necessary, silently shaping the objects and spaces of our ex-
perience, suggesting the rhythms of our days, relations and
thoughts.
Each room in a home can lend itself to acting as an hourglass or
sundial, though the time they mark has the slightly deranged
variables of the Mad Hatter’s watch, because there is a chrono-
meter time and a mind-body time, and they do not always align.
If we exercise our senses to play with the times and spaces of
our homes we enter a magical labyrinth of temporalities sitting
side by side, coexisting. After all, we spend a third of our lives
in a fog of sleep in which time seem to vanish. Bathrooms and
bedrooms have the power of dematerialising, making minutes
into fragments of physical grooming and pleasure. Kitchens
have their rigorous schedules of preparing and cooking. Li-
ving rooms multiply time, with a sofa for relaxing, other seats
for more composed and contained postures, and a view from
the window to get lost in. An entrance can also be an exit,
projecting us into public urban time.
In each of these places light from outside helps us locate where
we are in the life of the day, suggesting responsible life strate-
gies or possible escapes from reality.
These sensations are often greatly amplified in experiences of
art that uses time as a material of poetic reaction, reminding
us that emotional time, the time of action, and our relation to
places and objects are all mixed together, a living material de-
fining the magic of the places we most love and inhabit.
ACT III
We can see a knot, on a tie with red and blue zigzag patterns,
against a white shirt that looks, paradoxically, like the capital
of an improbable column: the shirt collar impeccably white,
the shadow cast by the tie distinct and clear-cut, the owner’s
Adam’s apple barely visible.
A monumental upholstered armchair, with a pattern of tiny
pink and green flowers on a cream background, takes up our
entire field of vision, nudging up against the painting’s bor-
ders.
A chest of drawers stands with a central drawer open: insi-
de, apart from the wooden knots and veins of its making, is
nothing but a sharp shadow announcing absence.
A wall decorated with wallpaper, green vertical stripes on a
yellow background, rises from a
black and white chequered floor,
revealing the outline of a pain-
ting that no longer exists, a sha-
pe of time past, the light over the
years digging a different print
into colour’s intensity, remin-
ding us of absence.
Domenico Gnoli’s paintings an-
nounce an unnerving wait for
something that might never hap-
pen. His are the marks of a ten-
sion obsessively fixing minute
fragments of our existence, each
work an exercise in a rational,
almost monastic form of fixity, a
sense of wonder for what it tells
us, and that we inhabit unaware.
This suspension of time is pa-
ralysing, forcing us to look with
greater attention at things we
hardly see in our distraction.
Paradoxes are forced, teaching
us to look and wonder at what
seem invisible. I find the same
sensations looking at the work
of Luigi Ghirri, one of the most
cultured and disorienting photo-
graphers of the post-war years,
constant in documenting the two studios of painter Giorgio
Morandi, via Fondazza in Bologna, and the summer studio in
Grizzana, as well as the studio-home of architect Aldo Rossi.
In both, the dense light makes an impasto of the elements,
fixing objects in a timeless destiny and leaving us without
words. In these portraits of homes we can still feel the warmth
of their inhabitants experiencing them intensely. And yet the
same images convey a sense of the universal, a disorienting
suspension. We recognise perfectly the Bolognese painter’s
bottles and vases, the drawings on walls and the colours of
the Milanese architect. We have a clear sense of being in a
Edra Magazine n°4
38
39
FOCUS