Invenzione della prospettiva.
Schema dei principi sviluppati all’inizio del Quattrocento
nell’ambiente artistico fi orentino.
The Invention of Perspective.
A diagram of principles developed in Florence’s
Quattrocento art environment.
nardo, che vive lo stesso ambiente di studi speculativi. Leonardo
il genio, che ha già lasciato tracce importanti a Milano, richiama
a Firenze tantissimi artisti curiosi di vedere i suoi lavori. È impe-
gnato nel grande affresco della Battaglia di Anghiari, nell’allo-
ra Sala del Gran Consiglio di Palazzo Vecchio, dove alla tecnica
dell’affresco preferisce quella dell’encausto: usa cioè una pittura
corposa, annega i pigmenti colorati nella cera e nell’olio. Diffici-
le far asciugare il dipinto nonostante gli enormi bracieri roventi
che fa puntare sulla parete in una lotta contro il tempo: niente
da fare, la pittura inevitabilmente cola a terra o sbiadisce. Dun-
que, il genio sperimenta e fallisce, come era successo pochi anni
prima nell’Ultima Cena nel convento di Santa Maria delle Grazie
a Milano. E Vasari, qualche decennio più tardi, sarà chiamato a
coprire le tracce di Leonardo con un’altra battaglia, quella che
oggi vediamo.
Leonardo era tornato in quell’anno
a Firenze. È un pittore affermato,
ha 51 anni, e dopo aver servito in
Romagna il Valentino aveva infine
trovato riparo presso la neonata
Repubblica di Pier Soderini, che
nel frattempo aveva chiamato an-
che Michelangelo, giovane artista
con il quale Leonardo non andrà
mai d’accordo. Oltre a lavorare in
Palazzo Vecchio, Leonardo proprio
in quegli anni mette mano a quella
che sarà la sua opera più famosa, il
ritratto di Lisa Gherardini, moglie di Francesco Bartolomeo del
Giocondo (da cui il nome di Gioconda). Se guardiamo a Bru-
nelleschi e a Piero della Francesca, ovvero all’invenzione della
prospettiva lineare, e poi a Leonardo, che ha toccato uno spettro
così vasto di attività e, infine, alle novità del linguaggio visuale di
Raffaello e di Michelangelo, ecco di fronte all’esplodere di tante
novità viene da pensare che la loro visione sia stata favorita anche
da quell’elemento vitale, unico e riconoscibile, che gli antichi ro-
mani chiamavano genius loci.
Il genius loci – una specie di spiritello del luogo da tenere buo-
no con continue offerte per evitare le sue arrabbiature – è poi
diventato un carattere identitario di certe personalità legate a
un determinato territorio. Alcune innovazioni, alcune strade in
solitaria espressione della visione, sono favorite dal genius loci.
Potevano e possono succedere solo lì, in quel determinato posto.
In Toscana, ad esempio.
Un sociologo accorto come Giampaolo Nuvolati, che da tempo
studia gli aspetti della creatività in relazione ai territori, ha re-
centemente ragionato sul rapporto tra la pianura e il mito della
Tessuto collezione Rinascimento.
Le delicate fi ammature della texture in ciniglia
creano linee irregolari che muovono leggermente la superfi cie,
alternandosi con la struttura di ordito,
valorizzando la palette cromatica.
The delicate fl ames of the chenille texture create
irregular lines that slightly move the surface,
alternating with the warp structure,
enhancing the color palette.
“Battaglia di Anghiari”
di Leonardo Da Vinci nel disegno di Pieter
Paul Rubens del 1603.
“Battle of Anghiari”
by Leonardo Da Vinci in the Pieter Paul
Rubens drawing of 1603.
but we cannot forget that in the same years of the early sixteenth
century Leonardo also returned to Florence to work, inhabiting
this same environment of speculative study. Leonardo the genius,
who had already made an important mark on Milan, attracted several
artists to Florence curious to see his works. He was occupied with
the large Battle of Anghiari fresco in what was then the Sala del
Gran Consiglio in Palazzo Vecchio. He preferred the technique of
encaustic to that of true fresco painting and used a thick viscous
paint of coloured pigment mixed with wax and oil. Despite the
enormous fire pits his assistants directed towards the wall in a race
against time, it was difficult to dry the painting - impossible in fact.
Inevitably, paint dripped to the floor and colours faded. Leonardo
the genius had experimented and failed, just as he had done a few
years before in Milan’s Santa Maria delle Grazie convent in fresco
of The Last Supper. Several decades
later Vasari would be asked to cover
over Leonardo’s battle with another
one, which we can still see today.
Leonardo returned to Florence that
same year. At 51 he was by now an
established painter. Having served
under Valentino in Romagna he
had finally found a refuge in Pier
Soderini’s
newborn
Republic.
Soderini had also summoned a
young artist Leonardo would never
get on with called Michelangelo.
While working on the Palazzo
Vecchio fresco Leonardo also turned his hand to what would be
his most famous work; a portrait of Lisa Gherardini, and the wife
of Francesco Bartolomeo del Giocondo (hence the Italian name
Gioconda for the Mona Lisa). If we think of Brunelleschi, and Piero
della Francesca, and the invention of linear perspective, and then
of Leonardo, who touched such a vast repertoire of activities, and
finally the new visual languages of Raphael and Michelangelo, we
are confronted with such an explosion of innovation we might think
it must have been favoured by the unique, vital and recognizable
element that the ancient Romans called genius loci. The genius
loci was a sort of small spirit connected with place, who had to be
constantly appeased with offers in order not to become angry, but
the expression came to be used to identify certain personalities
connected with a specific territory. Certain innovations, certain
singular expression of vision, are favoured by the genius loci. That
is to say, they could only happen in that specific place. Tuscany
is an example. Giampaolo Nuvolati, an observant sociologist, has
studied the aspect of creativity in relation to local area for some
time, and recently posited a relation between flatlands and the myth
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