DOMESTIC ARCHITECTURE
The two new projects by Tobia Scarpa for Désirée and the Lucchetta brothers consist in
domestic architectures: a table, a chair and a name, Ciàcola, that immediately takes us
to the culture and context of this great designer. Even when he creates an object, a designer
like Tobia can do nothing but behave like an architect in front of a space, of his way
of composing things based on their destination of use, without ever forgetting that,
although architecture is for “others”, it is also part of an intellectual autobiography.
Nowadays, separating design from architecture, especially when its final destination
is the home, is a very widespread professional choice; but in our case, this choice
neither belongs to Tobia Scarpa nor to any of the great architects of his generation
who contributed to building an “Italian” model in the extensive context of industrial
design: putting the focus on people, on their feelings and words, because each of us
is not just what he does, he is also and foremost what he is: his body language,
the tone of his voice, his eyes looking into those of another. That’s where the latest
project, Ciàcola i.e. chatting, comes from. Recognising yourself in the person facing you,
as if you were in a restaurant or at home, sitting around the fireplace in an informal way.
In Tobia Scarpa’s latest creation, this ideal space - that doesn’t just belong to the
traditional Veneto culture – is defined by a large, glass table top fixed with stainless
steel joints to two X-shaped legs in walnut wood that literally make this extraordinary
2 or 2.5 x 1 metre surface look as if it is floating. To favour conversation, walnut wood
chairs with stainless steel joints stand next to the table. They all differ from each other
because wood veins are never identical, creating a real system, a sort of “Symposium”,
while respecting all the materials used, designed as if it were a single piece of
architecture and not composed of two – complementary yet separate – objects.
It’s the great lesson of the modern movement that Tobia Scarpa has never forgotten;
a lesson he has always interpreted without ever denying his own story, his
cultural context, focusing on the “word” that, in this case, sounds simultaneously
identity-making and universal. He doesn’t use the vernacular because his
architecture, like his design, goes out into the world and everyone understands it.
An apparently simple project, “Ciàcola” brings a long, consistent history - that
has sown objects and architecture all over the world – and especially an immortal
philosophy with it: our roots belong to us and must be recognisable, particularly
when we are communicating with the culture of globalisation.
It’s the inimitable sound of unique and unrepeatable words and objects.
ARCHITETTURE DOMESTICHE
Sono architetture domestiche i due nuovi progetti di Tobia Scarpa per Désirée e i fratelli
Lucchetta: una sedia e un tavolo, un nome, Ciàcola, che subito ci riportano alla cultura
e al contesto di questo grande progettista. Un progettista come Tobia, anche quando
disegna un oggetto, non può non agire come un architetto di fronte a uno spazio, alla
sua organizzazione compositiva in relazione alla destinazione d’uso, senza mai dimenticare
che un’architettura è per gli “altri” ma fa anche parte di un’autobiografia intellettuale.
Scorporare il design dall’architettura, soprattutto quando la destinazione finale è
“la casa”, oggi è una scelta professionale molto diffusa che, nel nostro caso, non
appartiene a Tobia Scarpa e in generale a tutti i grandi architetti di quella generazione
che ha contribuito a costruire un modello “italiano” nel grande contesto del design
industriale: al centro la persona, i suoi sentimenti, i suoi desideri, le sue parole, perché
ciascuno di noi non è solo ciò che fa, è anche e soprattutto ciò che è, i suoi gesti, il tono
della voce, gli occhi che guardano altri occhi. Da qui nasce l’ultimo progetto, Ciàcola,
ovvero chiacchierare riconoscendo in chi hai di fronte te stesso, come in una trattoria
o in casa, magari accanto a un camino, senza formalismi. La definizione di questo
spazio ideale, che non appartiene solo alla tradizione della cultura veneta, nell’ultimo
lavoro di Tobia Scarpa si articola in un grande tavolo di vetro, appoggiato e fissato
con giunture in acciaio, su due strutture a X in noce che fa letteralmente volare questo
straordinario piano di 2 metri o 2,5 metri per 1, come se fosse una piuma. Intorno, appunto
per chiacchierare, una sedia pieghevole, in noce, realizzata anch’essa con giunture in acciaio,
ciascuna diversa dall’altre perché la venatura del legno non è mai replicabile; un vero e proprio
sistema, una sorta di “Simposio”, sempre nel rispetto dei materiali utilizzati, disegnato
come se fosse un’unica architettura e non due oggetti, complementari ma separati.
È la grande lezione del movimento moderno che Tobia Scarpa non ha mai dimenticato,
lezione che ha sempre interpretato senza mai negare la propria storia, il proprio
contesto culturale, mettendo al centro la “parola”, che in questo caso risuona,
contemporaneamente, identitaria e universale. Il vernacolare non gli appartiene
perché la sua architettura, come il suo design, sono nel mondo e tutti lo comprendono.
“Ciàcola”, apparentemente un progetto semplice, porta con sé una grande storia,
lunga, coerente che ha seminato in tutto il mondo oggetti e architetture, ma soprattutto
una filosofia che non morirà mai: le nostre radici ci appartengono e devono essere
riconoscibili, soprattutto quando dialoghiamo con la cultura della globalizzazione.
È il suono delle parole e degli oggetti che non potrà mai essere imitato, unico e irripetibile.
05
04
Aldo Colonetti